Autore: Dott. Enrico Delfini

Le nuove Linee Guida americane che orientano l’indirizzo della terapia hanno introdotto nuovi criteri che fanno riferimento alla situazione di ogni singolo Paziente

Sono passati ormai oltre venti anni dall‘individuazione di molecole veramente efficaci nella terapia per la riduzione della colesterolemia, le famose “statine”. Un importantissimo passo avanti nella cura delle malattie cardiovascolari e una opportunità per realizzare strategie di prevenzione. Fin dalla loro prima introduzione nella pratica clinica, si è dibattuto il problema: a chi dare le statine? A tutti o solo a chi ha una grossa probabilità di incorrere in un Infarto? Come quantificare il rischio cardiovascolare di ogni potenziale utilizzatore?
A queste domande hanno cercato di rispondere, in tutto il mondo, gli Organismi regolatori e le Società scientifiche. Ne sono nate, in Italia e altrove, regole e limiti, note e Linee Guida, tabelle e “calcolatori di rischio”. Tutto ciò, nell’intento di dare strumenti oggettivi di valutazione, per le decisioni e le scelte che i Medici devono compiere per ogni Paziente.

Le Linee Guida

In linea generale, il ragionamento alla base di questi strumenti regolatori, può essere riassunto così: partendo da dati come età, sesso, valore del colesterolo, abitudine al fumo, pressione, presenza o meno di Diabete, familiarità, ecc. e seguendo nel tempo decine di migliaia di persone, si ottengono tabelle che descrivono il Rischio Cardiovascolare Globale di ogni Paziente. Esistono tabelle europee, americane, italiane, tutte più o meno si propongono di quantificare la probabilità che un certo individuo, nei prossimi dieci anni, vada incontro ad Infarto, Ictus, o debba subire un bypass o un‘angioplastica.
In base a tali previsioni potremmo ipotizzare che una quarantacinquenne, che non fuma, non ha il Diabete nè l’Ipertensione e ha un colesterolo di 220, ha un rischio, entro dieci anni, molto basso. Diciamo per semplicità un 2%. Per contro un sessantacinquenne, diabetico, obeso, iperteso e fumatore, con il colesterolo a 280, rischia un grave evento cardiovascolare, diciamo, nel 40%. 

Pro e contro

Bisogna però anche considerare il rovescio della medaglia: nessun farmaco è esente da effetti collaterali, e interazioni potenzialmente pericolose. Nel caso delle statine, in particolare, sono piuttosto frequenti i disturbi e i danni a carico di muscoli e fegato. Si tratta di farmaci che, per definizione, vanno assunti per decenni. Anche il costo deve essere considerato, se vogliamo completare la valutazione dei rischi/costi e dei vantaggi/benefici. Tornando ai grossolani esempi fatti prima, immaginiamo per semplicità che sia stato dimostrato che le statine siano in grado di dimezzare il rischio.
Pazienti come la signora, si è detto, hanno il 2% di rischio in dieci anni. Se diamo la statina, il rischio scende all’1%. Detto in altri termini, su cento Pazienti, 98 avranno assunto per dieci anni un farmaco tutto sommato inutile, con tutti gli effetti collaterali sgradevoli e i rischi connessi (sono quelli a cui non sarebbe successo nulla neanche se non trattati). Un altro Paziente avrà avuto lo stesso la malattia cardiaca che si sperava di evitare. Un solo Paziente su cento, in dieci anni, avrà tratto vantaggio dal prendere per dieci anni la statina.
Nel caso di Pazienti a rischio molto alto, come nell’esempio dell’anziano diabetico fumatore, avevamo una percentuale di eventi del 40%. Significa che, dimezzando questo rischio con la statina, solo 20 persone su cento, invece di 40, avranno un Infarto, ma altri 20 lo eviteranno. In scenari estremi come questi, è abbastanza semplice prendere una decisione; nel senso che una strategia volta a trattare 100 Pazienti per proteggerne uno solo, è considerata sbagliata; mentre trattare Pazienti con un rischio cardiovascolare del 20-30% in dieci anni, è da tutti ritenuto un approccio doveroso.


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