Autore: Dott. Enrico Delfini

 

Fissare il livello

Ma dove porre il confine? E ancora: fino a quali valori è conveniente e opportuno abbassare il colesterolo? In una prima fase, le strategie parevano indirizzate a limitare il trattamento solo alle fasce di Pazienti a rischio più alto.
Negli anni successivi, anche grazie al calo dei costi, e avendo constatato la relativa rarità degli effetti collaterali, si è passati a scelte più “allargate”. Inoltre si è cominciato a parlare di target, ovvero di “livelli di colesterolo” a cui si dovrebbe arrivare. In particolare si fa riferimento al colesterolo LDL, quello conosciuto come colesterolo “cattivo”. Si è stabilito che, per Pazienti a basso rischio, è necessario portare il valore sotto 130; per i Pazienti più gravi, occorre scendere sotto 100, o addirittura sotto 70. Nulla in Medicina è però stabilito una volta per sempre: proprio in questi giorni due tra le Associazioni scientifiche più prestigiose in questo campo, la “American Heart Association” e la “American College of Cardiology” hanno pubblicato un nuovo documento. Si tratta di Linee Guida valide per ora solo negli USA, che al momento non sono state ancora recepite dagli organismi europei e italiani.
In tale documento scientifico, pur partendo da considerazioni e da dati clinici e farmacologici non diversi da quanto noto ormai da tempo, si approda a soluzioni diverse. Una prima diversità sta nel semplificare la stratificazione del rischio. Semplificando un poco, possiamo dire che gli Specialisti americani consigliano di abbandonare i vecchi schemi che classificavano i Pazienti in tre, quattro o più categorie, e propongono un valore-soglia di rischio a 10 anni, pari al 7,5%. Chi ha un rischio più alto deve essere trattato, chi rimane sotto invece no.

Personalizzare i valori

Ma la novità maggiore delle Linee Guida americane sta nell’abbandono del concetto di “valore target”, spostando l’attenzione sulla diminuzione percentuale del valore del colesterolo. Se si decide di utilizzare una statina, viene raccomandato di cercare un abbassamento di almeno il 30%, a prescindere dal valore di partenza. Solo nei casi di prevenzione secondaria, cioè quando in realtà una patologia cardiovascolare è già presente, e si tratta di evitare, ad esempio, un secondo Infarto, gli Specialisti americani consigliano di abbassare il colesterolo LDL del 50% o più. La cosa è ragionevole: quando si tratta di prevenire un evento, ma ancora in assenza di malattia, un calo del 30-40% garantisce un calo del rischio significativo, senza dover usare farmaci troppo potenti o in dosi troppo massicce. Le cose cambiano invece quando si deve trattare chi è già stato colpito: in questi casi è giustificato l’uso delle “maniere forti”. In questa ottica è giustificato anche l’abbandono del “target” fisso e uguale per tutti. Se un Paziente ha già avuto un Infarto, siamo sicuri che il valore del colesterolo che aveva era per lui pericoloso. Con i criteri precedenti, se una persona aveva un Infarto con un colesterolo LDL basso (ad esempio 100), si poteva ritenere che per lui non fosse necessario nessun trattamento o al massimo un piccolo abbassamento. Nel nuovo scenario, si prende consapevolezza che, per “quel” Paziente, un valore di 100 si è dimostrato dannosissimo; per questo dovrà essere curato in modo da farlo scendere sotto il valore di 50.
Questo valore sarà il “suo” target, e sarà diverso da quello di un altro Paziente, che avrà avuto un Infarto, ma che aveva un colesterolo LDL molto più alto. Per questo è forse impossibile raggiungere il target storico di 70, se non a costo di effetti collaterali gravi. Ma trarrà certamente vantaggio da un dimezzamento, anche se non scenderà nemmeno sotto i 100.


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