Sclerosi Multipla, le nuove terapie

Autore: Dott.ssa Daniela CurròProf. Gianluigi Mancardi

 

Una miscela di polipeptidi

Il glatiramer acetato è il secondo farmaco di prima linea approvato nel 1996 per il trattamento della SMRR (la forma di Sclerosi Multipla Recidivante-Remittente). Consiste in una miscela di polipeptidi sintetici che, grazie alla somiglianza alla proteina basica della mielina (MBP) riduce l’attività infiammatoria. Va somministrato quotidianamente mediante iniezione sottocutanea alla dose di 20 mg ed è in grado di ridurre del 30% circa il tasso di ricadute e anche il numero di lesioni infiammatorie. La tollerabilità del farmaco è buona, l’unico importante evento avverso, che si manifesta in circa il 10-20% dei casi, consiste in crisi che insorgono immediatamente dopo l’iniezione, caratterizzate da sensazione di oppressione toracica, palpitazioni, vasodilatazione cutanea diffusa e agitazione, si risolve spontaneamente per lo più in 10-15 minuti. Tale manifestazione può comparire una sola o poche volte nel corso di anni di terapia.
L’utilizzo prolungato può causare quadri di Lipodistrofia (una manifestazione clinica caratterizzata da un’anormale o degenerativa condizione del tessuto adiposo).
Per quanto concerne la terapia di seconda linea, indicata nei Pazienti in cui l’attività di malattia non è sufficientemente controllata dalle terapie sopracitate, i farmaci oggi più diffusi sono natalizumab e fingolimod.

L’anticorpo monoclonale

Si chiama natalizumab l’anticorpo monoclonale in grado di ridurre, fino al 40% in vitro, la migrazione delle cellule infiammatorie all’interno del Sistema Nervoso Centrale. Il farmaco è approvato come monoterapia in Pazienti che non rispondono adeguatamente alla terapia di prima linea o hanno un decorso aggressivo fin dall’esordio. Tale terapia può ridurre del 68% il tasso di ricadute, dell’83% il numero di nuove lesioni rilevabili dalla Risonanza Magnetica e del 42% la progressione della disabilità, rappresentando pertanto la più efficace opzione per il trattamento della Sclerosi Multipla, utilizzo però fortemente limitato dal non trascurabile rischio di sviluppare una grave complicanza quale la Leucoencefalopatia Multifocale Progressiva (PML). Questa infezione del Sistema Nervoso Centrale è causata dalla riattivazione di un particolare virus (JC) che, nei soggetti immunodepressi può causare questa grave infezione con comparsa di molteplici sintomi neurologici che possono condurre al decesso. Tale rischio appare correlato alla durata della terapia, al precedente utilizzo di farmaci immunosoppressori e al titolo anticorpale contro il virus JC.
L’associazione di tali dati permette ai Clinici di ottenere una stratificazione del rischio nel singolo Paziente, consentendo una migliore valutazione del rapporto rischio-beneficio nella scelta di proseguire o sospendere la terapia con natalizumab. 

Farmaci ad azione immunosoppressiva

Il nome del principio attivo è fingolimod e, confrontato con il placebo, riduce del 54% il tasso di ricadute con effetti positivi anche sui dati neuroradiologici. Il principale limite, peraltro molto modesto, al suo utilizzo è correlato all’induzione di Bradicardia e casi di blocco atrioventricolare. Tale complicanza ha posto la necessità di sottoporre tutti i Pazienti a monitoraggio cardiaco obbligatorio nelle prime sei ore dopo la somministrazione del farmaco. Gli altri eventi avversi più importanti sono Linfopenia, alterazioni della funzionalità epatica, riattivazione di infezioni da HSV e VZV, che rende necessaria la vaccinazione per VZV di tutti i Pazienti prima dell’inizio della terapia, e casi di edema maculare a spontanea risoluzione con la sospensione del farmaco. Ad oggi, su 114.000 Pazienti trattati, sono stati segnalati solo due casi di PML in corso di terapia con fingolimod.
Anche il mitoxantrone è un farmaco immunosoppressore sviluppato alla fine degli anni ’70 come farmaco antineoplastico; questa terapia è oggi meno utilizzata in considerazione dell’ingresso in commercio dei nuovi farmaci e del non ottimale profilo di sicurezza. Può essere utilizzato nelle forme attive di malattia, generalmente al dosaggio di 12 mg/m2 mediante somministrazione endovenosa ogni tre mesi, e talora anche a scopo di induzione con  l’obiettivo di utilizzare tale terapia aggressiva all’inizio della storia clinica, quando la malattia non ha ancora accumulato i suoi irreparabili danni, con la possibilità di ottenere benefici a lungo termine, mediante la successiva introduzione di terapia immunomodulante.
Il principale effetto collaterale è la cardiotossicità dose-dipendente: la dose massima cumulativa non deve superare i 140 mg/m2. Da tenere in considerazione è anche una possibile correlazione con lo sviluppo a distanza di neoplasie secondarie.