Dipendenza dal gioco, che fare?

Autore: Dott.ssa Simona Scortichini

 

 

I numeri del problema

Quello che è certo sono un paio di numeri, reperibili e visibili ovunque su internet. In Italia nel 2012 sono stati spesi più di 90 miliardi di euro per il gioco d’azzardo lecito, cifra in continuo aumento ogni anno: la quantità di denaro investita dai cittadini è cresciuta dal 2004 al 2012 del 400% passando da 24,8 miliardi a 94 miliardi e rappresentando così un’attività in assoluto altamente redditizia per chi la gestisce (lo Stato nel 2011 ne ha guadagnati 8.000). L’impressionante e preoccupante progressione va di pari passo con il numero di persone che divengono dipendenti da tale tipo di comportamento e con l’ammontare dei costi sociali conseguenti tale piaga: gli studi epidemiologici dicono che il numero di giocatori patologici nella nostra nazione si aggira tra gli 800.000 ed un milione, con una percentuale variabile fra l’1 e il 3 % annuo ed ogni anno vi sono dai 5,5 ai 6,6 miliardi di euro di costi complessivi per la società dovuti al gioco patologico. A tale proposito, vale la pena soffermarsi sul metodo di calcolo di questi “costi sociali” per il significato che essi hanno: una ripercussione fortemente negativa e spesso drammatica sulla qualità di vita delle persone coinvolte e delle loro famiglie. Il costo complessivo annuo è dato dalla somma dei costi sanitari “diretti”, come la frequenza di ricorso al Medico di base del 48% più alta rispetto ai non giocatori, interventi ambulatoriali psicologici, ricoveri sanitari, cure specialistiche per la dipendenza ed “indiretti” (si fa per dire), come la perdita di performance lavorativa del 28% maggiore rispetto ai non giocatori, perdita di reddito, accumulo di debiti, ecc.

Cosa si può fare?

Il tentativo di sintesi attuato è necessariamente non esaustivo rispetto all’argomento trattato, se non nella dimensione della sua “complessità”. Data la numerosità delle variabili intervenienti sul fenomeno trattato, interne ed esterne, approcciare il problema “gioco d’azzardo patologico”, come altre forme di dipendenza comportamentale, dovrebbe poter prevedere una presa in carico congiunta della persona sia a livello dell’individuo, della comunità che, potendo, familiare. Se consideriamo un continuum “possibile” di intervento psicologico, si va dall’intervento terapeutico sul singolo alla prevenzione e promozione di una mentalità di gioco responsabile, che riporti il gioco alle sue caratteristiche positive e peculiari di divertimento ed occasione di socializzazione. La persona può trarre beneficio sia dall’intervento promosso tramite il “gruppo”, gruppi di auto aiuto dedicati (modello alcolisti anonimi), gruppi psicoeducativi che possano prevedere la programmazione ed il raggiungimento di step intermedi rispetto all’astensione completa, diminuendo così la possibilità di fallimento terapeutico o terapia familiare, sia dall’intervento “individuale”.
In questo senso, la terapia psicoanaliticamente orientata può essere utile nella comprensione delle dinamiche interne all’individuo, affinché la regolazione degli impulsi, l’espressione emotiva e la modulazione degli affetti non siano agiti tramite l’impulsività comportamentale, ma vissuti in modo più maturo e funzionale.
La terapia farmacologica, invece, incentrata sulle caratteristiche della persona e in associazione a quella individuale o di gruppo, è utile nelle fasi pericolose e critiche, o nei momenti in cui la quotidianità è difficile da sostenere (problemi disforici, economici, familiari), per ristabilire un equilibrio funzionale ad essa.
Fondamentale è l’esortazione alla persona giocatrice di riuscire a “chiedere aiuto”, dato che è disponibile, nel momento in cui abbia anche solo il dubbio di perdere il controllo del gioco: quello che accade non dipende unicamente da consapevolezza o volontà e non è “gestibile” da soli. 

 


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