Impronta ecologica del cibo

Autore: Prof. Paolo Ranalli

Occorre avere consapevolezza che ogni prodotto trascina con sé un vero e proprio “zaino ecologico” di energia, di risorse consumate e inquinanti prodotti 

La nostra alimentazione ha un costo, che non è soltanto quello immediato che paghiamo alla cassa del negozio, spesso l’unico di cui teniamo conto; c’è infatti un costo molto più grande, che riguarda l’ambiente e le risorse che vengono consumate perché il prodotto arrivi sul banco del supermercato.
L’impatto di una produzione agricola sull’ambiente lo si percepisce considerando il suo ciclo di vita, ovvero l’intera filiera alimentare: dalla coltivazione delle piante nel campo, alla trasformazione, confezionamento, trasposto e distribuzione dei prodotti ai consumatori. Occorre avere consapevolezza che ogni prodotto trascina con sé un vero e proprio “zaino ecologico” di energia, di risorse consumate e inquinanti prodotti, sebbene non siano visibili al momento del suo acquisto.

L’impronta ecologica

Per quantificare gli impatti delle attività agricole sull’ambiente (e più in generale riguardanti le attività umane) sono stati messi a punto alcuni indicatori: l’impronta ecologica è l’indicatore più attendibile per correlare lo stile di vita di una popolazione con la “quantità di natura” necessaria a sostenere quella determinata quantità di consumi. Si tratta di un indicatore aggregato, poiché somma gli effetti negativi (impronta) sull’ambiente di diversi fattori: emissione di CO2, consumo di acqua, uso di azoto. Tale indicatore, per sua natura, non si esprime con un valore fisico, ad esempio la concentrazione di un determinato inquinante in un’area specifica, bensì con un valore virtuale, ovvero l’area totale di ecosistemi necessaria a una popolazione per: produrre le risorse necessarie a mantenere un certo tenore di vita (cibo, vestiti, prodotti e servizi); assimilare i rifiuti che essa produce, come la CO2 prodotto dalla combustione della benzina, il metano prodotto da una risaia, ecc..
In letteratura sono conosciuti i valori di impronta ecologica a seconda del tipo di dieta: nel menù vegetariano (senza carne né pesce per tutta la settimana) l’impronta annuale è pari 7.280 m2 di suolo; nel menù mediterraneo (a base di verdure, frutta, cereali integrali, legumi, olio di oliva e bilanciato consumo giornaliero di carne e pesce) l’impronta è di 8370 m2; nel menù a base di carne (carne una volta al giorno durante tutta la settimana) l’impronta è di 9780 m2. Utilizzando questo indicatore è possibile stimare quanti pianeti servirebbero per sostenere l’umanità, se tutti i cittadini che vivono sulla Terra avessero lo stile alimentare della parte più opulenta del mondo occidentale.

La doppia sfida dell’agricoltura

L’agricoltura contribuisce al cambiamento climatico ma, a sua volta, ne subisce gli effetti; deve affrontare, quindi, una doppia sfida: ridurre le emissioni di gas serra e, contemporaneamente, adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Il primo obiettivo viene perseguito abbandonando le pratiche agricole tradizionali, ad alto uso d’input esterni da fonti non rinnovabili, e adottandone altre meno impattanti sull’ambiente, che minimizzino gli sprechi: in una parola, sostenibili. Oltre che attraverso la riduzione delle emissioni di gas serra (CO2, metano, protossido di azoto), la mitigazione può essere ottenuta aumentando la capacità di stoccare il carbonio nella vegetazione e nei suoli.

Agricoltura di precisione

Un ruolo fondamentale è svolto dall’agricoltura di precisione (agricoltura 4.0 o “smart agrifood”): un nuovo approccio alla gestione del processo produttivo agricolo che consente di fare l’intervento colturale giusto, al momento giusto dello sviluppo delle piante e nel punto giusto del terreno. Ciò è consentito dalle più recenti tecnologie applicate al settore agricolo (sensori, droni, tecnologie digitali); queste, ad esempio, permettono di fare un trattamento fungicida solo quando la pianta ne ha effettivamente bisogno o di concimare solo quelle aree di terreno più povere di elementi nutritivi, con evidente risparmio di presidi chimici (fitofarmaci, concimi e combustibili) e di costi.
L’agricoltura è altresì in grado di sottrarre CO2 dall’atmosfera (“sequestro” del carbonio) e trasformarla in composti organici attraverso la fotosintesi clorofilliana. Anche il suolo riesce a stoccare anidride carbonica (costituisce il secondo serbatoio di carbonio dopo gli oceani) e alcune tecniche di gestione (lavorazione minima o non lavorazione, uso di colture di copertura) ne aumentano la capacità di sequestro. Le buone pratiche agricole devono implementarsi con la salvaguardia e tutela delle aree verdi e con l’incremento delle piantagioni su larga scala (è necessario promuovere il ripristino delle foreste ed una maggiore presenza di piante nelle grandi città).
Sono pure necessarie strategie in grado di incrementare l’adattamento delle colture agli effetti del cambiamento climatico: alte temperature prolungate, siccità, nuove patologie delle piante. È necessario selezionare cultivar fornite di resilienza, ovvero più efficienti nell’uso dell’acqua e dei nutrienti minerali, più ricche di sostanze nutritive, più resistenti ai mutamenti climatici e capaci di difendersi dagli attacchi di parassiti, riducendo così l’uso di fitofarmaci e limitando le perdite dei raccolti.


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