Brugo, Brentoli, Baraccia, Grecchia, Sorcelli, Scopetti, ed anche impropriamente Erica, sono alcuni dei nomi comuni attribuiti a “Calluna vulgaris Hull”, una specie diffusa in Europa, Asia, Nord Africa e Nord America, appartenente alla famiglia delle Ericaceae, che non di rado caratterizzano la flora di molti ambienti montani. In Italia è distribuita sulle Alpi e gli Appennini sino a 2500 metri, dove si possono ammirare le “brughiere”, che conferiscono al paesaggio un aspetto suggestivo con meravigliose fioriture rosa-violacee. “Calluna vulgaris” è un arbusto sempreverde molto ramificato, con rami eretti o pendenti, foglie piccolissime, semplici e caratteristici fiori di colore variabile dal rosa al violetto, e dal rosso porporino al violetto, con corolla campanulata, tutti rivolti da una parte, verso il basso. Fiorisce in luglio-agosto dopo la fogliazione.
Le radici fitte e profonde infiltrano il terreno al punto tale da formare un groviglio impenetrabile all’espansione di altre specie; il Brugo vive in simbiosi con funghi del suolo.
La parte aerea di questa pianta è utilizzata da tempo immemorabile per fabbricare rustiche scope, particolarmente ricercate negli usi di campagna. La droga, ovvero la parte della pianta medicinale che, allo stato essiccato, è usata a scopo terapeutico, è rappresentata dalle sommità fiorite.
Il miele di Brugo
I fiori campanulati e ricchi di nettare del Brugo sono frequentemente visitati da api domestiche, bombi e lepidotteri tipici della brughiera. Nel periodo autunnale, il Brugo fornisce alle api importanti raccolti sia di nettare che di polline. Le api succhiano il nettare dai fiori che persistono a lungo sulla pianta e ne ricavano un miele molto scuro.
Il miele di Brugo è molto apprezzato e presenta la peculiare caratteristica di essere molto viscoso, a causa della presenza di una proteina, la cui concentrazione, nei mieli puri di Erica, può raggiungere il 2%; nella sua composizione il fruttosio (56%) prevale sul glucosio (40%).
Il miele di Brugo, già utilizzato dagli antichi Romani (Plinio lo chiamava “miele sericeo”), mostra una spiccata attività antibatterica, come riportato da numerose ricerche scientifiche.
La composizione chimica
Nell’ultimo decennio gli studiosi ci hanno offerto una panoramica complessiva del profilo fitochimico delle parti aeree di “Calluna vulgaris”. Dai dati ad oggi disponibili emerge una struttura complessa con prevalenza di flavonoidi (oltre a cromoni, procianidine, acidi fenolici e fenoli, la maggior parte dei quali in forma glicosidica). Tra i glicosidi acetilati dei flavonoli compaiono insieme i galattosidi e gli arabinosidi, peculiarità della famiglia delle Ericaceae. I principali composti fenolici presenti in “Calluna vulgaris” sono: acido clorogenico, callunina, iperoside, isoquercetina e campferol-3-O-galattoside. Altri composti riscontrati sono steroli, triterpeni, acidi grassi comuni e acido ascorbico.
Utilizzi in Medicina tradizionale
Le sommità fiorite, raccolte all’inizio della fioritura, insieme alle piccole foglie, sono da sempre utilizzate per la loro azione di eccellente diuretico dalle proprietà antisettiche delle vie urinarie; l’infuso è impiegato infatti come rimedio per svariati disturbi di tipo infiammatorio che colpiscono i reni e il tratto urinario, quali Cistiti, Uretriti e Cistopieliti. Leclerc, autore di un ben noto trattato medico scientifico sulle piante medicinali, era solito prescrivere un infuso a caldo (1-2 cucchiai di foglie per tazza), oppure il decotto di una manciata di sommità fiorite della pianta, in 1 litro di acqua, bollita sino alla riduzione di un terzo. Nella Medicina tradizionale, come altri diuretici naturali, “Calluna vulgaris” è usata per le patologie reumatiche. Impiastri caldi e umidi di fiori, sono stati impiegati in medicina popolare per lenire i dolori sciatici.