Lavoro al computer, evitiamo i danni

Autore: Dott.ssa Enrica Zinzini

Il potenziamento dello smart working imposto dalla pandemia e il nostro vivere sempre “connessi” possono mettere a dura prova la salute dei nostri occhi 

I computer sono stati introdotti circa 60 anni fa con una destinazione d’uso esclusivamente lavorativa, in particolare, nelle attività di ufficio. Nei decenni successivi abbiamo assistito ad una profonda trasformazione tecnologica di questi primi “calcolatori”, con l’implementazione delle loro prestazioni e degli ambiti di applicazione e all’aggiunta di funzioni sempre più sofisticate e potenti che li hanno portati direttamente nelle nostre case, a disposizione di ogni componente della famiglia indipendentemente dall’età, dal livello di istruzione e dallo stato sociale. Con questi strumenti si lavora, ma non solo: si comunica, ci si incontra, si studia e ci si aggiorna, ci si rilassa leggendo o guardando un film. I computer e le loro potenti funzioni, infatti, sono ora strumenti portatili e tascabili come tablet, cellulari e orologi, così che ognuno di noi è sempre accompagnato e costantemente connesso; ma è soprattutto in questo particolare momento della nostra storia, nel quale l’emergenza Covid ha modificato la vita lavorativa di molti, con la trasformazione del lavoro in modalità smart working e l’introduzione della didattica a distanza per gli studenti, che l’impiego del computer ha avuto una crescita esponenziale.

In assenza di difetti visivi

Lavorare di fronte ad uno schermo rappresenta senza dubbio un impegno notevole per l’apparato visivo, contrassegnato dalla costante e spesso prolungata necessità di adattare continuamente la messa a fuoco alle distanze brevi, o medie, tipiche di una scrivania.
In particolare, il meccanismo coinvolto è quello dell’accomodazione, un’attività oculare che consente di mettere a fuoco le immagini a distanza ravvicinata. In occhi emmetropi, cioè privi di difetti visivi, tale funzione si attiva a circa 40-50 cm di distanza dall’oggetto fissato ed aumenta man mano che l’oggetto si avvicina; per questo motivo, un senso di “stanchezza visiva” (astenopia) dopo un prolungato periodo di applicazione visiva al computer, può essere considerato un segno del normale esaurimento delle nostre funzioni organiche. L’astenopia, in particolare, può comprendere sintomi quali offuscamento visivo, cefalea, indolenzimento dei bulbi, oltre alla caratteristica percezione di un tempo di focalizzazione da vicino a lontano, e viceversa, più lungo del solito, un tempo che diviene appunto percepibile.

In caso di problematiche

Se sono presenti difetti della vista già noti e corretti (Ipermetropia, Astigmatismo, Presbiopia), o eventualmente non corretti adeguatamente, l’elevato impegno visivo richiesto può determinare la comparsa di astenopia anche dopo soli 30 minuti di lavoro al computer; in alcuni casi tale impegno può far emergere, o rendere evidente, un difetto visivo preesistente ma fino a quel momento nascosto: si tratta più spesso di Ipermetropie latenti ed in questi casi i soggetti colpiti tendono ad attribuirne proprio al computer la responsabilità, quando invece è il grado più elevato di impegno visivo richiesto a rendere evidente un difetto già presente. Meno frequenti, ma molto invalidanti, sono anche possibili scompensi dell’equilibrio tra i muscoli oculari con duplicazione delle immagini osservate (diplopia). Pur non addentrandoci nella complessità del sistema della motilità oculare, possiamo affermare che più frequentemente si tratta di scompensi più o meno temporanei di equilibri oculomotori instabili o di deficit della motilità oculare già noti; il più frequente è lo scompenso della convergenza bulbare a breve distanza di lavoro.

Altri possibili disturbi

Un altro insieme di disturbi visivi correlati al lavoro al computer è rappresentato dal possibile arrossamento della congiuntiva (iperemia), lacrimazione, senso di corpo estraneo e bruciore con secondario offuscamento della vista. Tali disturbi trovano spiegazione nel fatto che durante la fissazione prolungata dello schermo si riduce di frequenza l’ammiccamento, quel movimento di chiusura delle palpebre che compiamo quasi inconsciamente almeno 15 volte al minuto e che ha lo scopo fondamentale di rinnovare il film lacrimale posto sulla superficie dell’occhio, garantendone la perfetta lubrificazione. Se l’ammiccamento si riduce in frequenza la parte acquosa del velo lacrimale tende ad evaporare e il film lacrimale stesso cambia la sua composizione, divenendo inefficace nella sua funzione di lubrificazione; ecco quindi che nel tempo, possono comparire i disturbi citati che determinano la condizione di secchezza oculare. Tali disturbi possono essere più accentuati in presenza di patologie della superficie oculare preesistenti, che comportano a loro volta alterazioni della lubrificazione oculare.
Anche l’impiego prolungato delle lenti a contatto durante il lavoro a computer può aggravare la secchezza oculare fino a rendere intollerabili le lenti stesse; tra le cause determinanti, o che possono accentuare questa condizione, non bisogna dimenticare il microclima dell’ambiente di lavoro, in particolare il fattore temperatura e il tasso di umidità.


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