Autore: Prof. Marcello BuiattiAntonella Ciana

 

Di cosa avremmo bisogno, invece?

Ora servirebbero varietà “plastiche”, cioè capaci di produrre in ambienti cangianti grazie alla variabilità interna; invece la risposta dei tecnologi è l’“Ingegneria genetica”, ovvero l’introduzione di singoli geni generalmente batterici nelle piante come se fossero, appunto, macchine, quindi senza possibilità di reagire negativamente all’introduzione di un gene “alieno”. Invece tante piante “ingegnerizzate” reagiscono in maniera imprevista e negativa e sono state introdotte nel mercato con successo solo quattro piante geneticamente modificate per due soli caratteri: soia, mais, colza e cotone; resistenti a diserbanti e a un insetto già nel 1982, e ciò malgrado si siano tentate moltissime altre trasformazioni che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno dato buoni risultati: quando si introduce in una pianta un gene “alieno”, non sappiamo a priori quante copie del gene entreranno nel genoma della pianta, dove andranno a inserirsi spaccando il DNA preesistente, se il gene introdotto funzionerà, che interazioni ci saranno con il genoma iniziale, che effetti avrà l’interazione del prodotto del gene con il metabolismo della pianta, quello della pianta con l’agro-ecosistema, se la nuova pianta sarà produttiva e, infine, se il prodotto alimentare sarà o meno pericoloso per la salute degli esseri umani e degli altri esseri viventi dell’agro-sistema. Di tutto questo le imprese multinazionali produttrici di OGM non si sono più occupate dai primi anni ’80 del secolo scorso e hanno, anzi, ridotto la spesa per la ricerca di nuovi OGM migliori, più utili e sicuri.

Come mai?

Perché le “Tre Sorelle” degli OGM sono economicamente in regime di oligopolio e hanno così introdotto alla fine del secolo scorso l’istituzione del brevetto industriale che prima si usava solo per la meccanica, introducendo il concetto della “sostanziale equivalenza” fra materia vivente e non vivente. Per questo un contadino che compra piante GM non le paga adesso solo una volta, ma a ogni semina, anche se usa semi prodotti da piante del suo campo, né può incrociare la varietà OGM con altre per crearne di nuove come faceva sotto la Legge UPOV. Non solo: basta che in un campo ci sia anche una sola pianta GM e le altre non GM e il contadino dovrà pagare comunque per tutto il campo. Il cambiamento del valore legale dei brevetti ha permesso alle “Tre Sorelle” di arricchirsi enormemente e quindi di poter trattare non con i contadini ma direttamente con le Nazioni perché consentano l’uso di piante OGM. In America Latina ad esempio le grandi imprese hanno trattato con i Governi l’introduzione dei loro prodotti, comprando poi a basso prezzo i campi dei contadini locali (introducendo braccianti a basso costo) e aggregandoli in gigantesche aziende (anche oltre 100.000 ettari) dove ora si coltiva solo soia resistente a un diserbante che viene venduta poi ad altri Paesi come mangime. In America Latina milioni di ettari di piante eduli per gli abitanti sono state irrorate di diserbante con gli aerei, con grande pericolo per gli abitanti, perciò i contadini sono fuggiti nelle favelas dove hanno perso le antiche tradizioni culturali abbandonando la variabilità genetica delle piante locali.