Negli ultimi cinquant’anni lo stile di vita, in particolare nei paesi occidentali, si è purtroppo orientato, da un lato, verso l’adozione di un’alimentazione ad alta densità energetica e sbilanciata, dall’altro verso la diminuzione dell’attività fisica. Questi cambiamenti nel tempo hanno portato, in soggetti predisposti, allo sviluppo di disordini metabolici, le cosiddette Dislipidemie, un gruppo di condizioni patologiche caratterizzate da una elevata quantità di lipidi (colesterolo, trigliceridi o entrambi) nel sangue.
Alcuni dati
Negli ultimi decenni l’attenzione per queste condizioni cliniche è in forte aumento poiché costituiscono un fattore di rischio per lo sviluppo di Malattie cardiovascolari, considerate globalmente la causa principale di mortalità e disabilità. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, facendo riferimento all’anno 2012, attribuisce ad esse la causa del 30% delle morti totali, con una media di 17 milioni di morti all’anno. Si stima che nel 2030 la media di decessi per anno aumenterà finocolesteroa raggiungere i 23,3 milioni, cifra che sembra destinata a incrementare ulteriormente a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei livelli progressivamente crescenti di sedentarietà ed Obesità. L’ultimo aggiornamento epidemiologico del 2016 nel nostro continente riferisce circa 4 milioni di morti all’anno per Malattie cardiovascolari, corrispondente al 45% delle morti totali, con numerosità più elevata nelle donne (2,2 milioni) rispetto agli uomini (1,8 milioni).
Dagli studi alle certezze
La prima volta in cui si cominciò a indagare la relazione esistente fra Dislipidemia e Malattie cardiocircolatorie fu circa 170 anni fa, quando J. Vogel, un Medico tedesco, dimostrò la presenza di Colesterolo nelle placche aterosclerotiche (ispessimento asimmetrico dello strato più interno delle arterie), ma solo in seguito la Ricerca ha proseguito in questo ambito e nel 1948, negli Stati Uniti, è stato sviluppato uno dei più importanti studi epidemiologici, inteso a valutare il rischio delle Malattie cardiovascolari: il “Framingham Heart Study” che continua ancora oggi a fornire importanti contributi scientifici. La sua nascita è strettamente legata alla vicenda personale del Presidente Americano Franklin D. Roosevelt che, affetto da Ipertensione arteriosa, morì prematuramente di emorragia cerebrale nel 1945, impedendogli di assistere alla nascita delle Nazioni Unite nel cui progetto aveva investito molte delle sue energie. Questo evento storico, unito all’alta incidenza delle morti negli USA per problemi cardiovascolari (1su 2 morti era attribuibile a ciò), spinse i Ricercatori del National Heart Institute, in collaborazione con l’Università di Boston, a progettare il grande studio nel Massachusetts.
Il primo campione fu esaminato tra il 1948 e il 1952 e comprendeva 5209 individui tra uomini e donne, dai 28 ai 62 anni, appartenenti alla comunità urbana di Framingham. Nel corso del tempo, fino ad arrivare ai giorni nostri, sono state incluse nello studio le successive generazioni con l’obiettivo di identificare i principali fattori di rischio per le Malattie cardiovascolari, quali l’Ipertensione, l’Ipercolesterolemia (alti livelli di colesterolo), il Diabete, la mancanza di attività fisica, il fumo di sigaretta e più recentemente i bassi livelli di colesterolo buono e gli elevati livelli di trigliceridi (Ipertrigliceridemia).
Cosa sono le Dislipidemie
Come abbiamo già detto, la Dislipidemia è una condizione clinica caratterizzata da un’alterazione quantitativa dei livelli dei lipidi circolanti nel sangue, in particolare colesterolo e trigliceridi. L’Ipercolesterolemia si instaura quando si innalza il colesterolo totale (superiore a 200 mg/dl), mentre parliamo di Ipertrigliceridemia quando aumentano i trigliceridi (superiore a 150 mg/dl). Sono condizioni che possono essere isolate o associate. Poiché le patologie sono svariate e i lipidi coinvolti sono diversi, sarebbe più corretto parlare al plurale di Dislipidemie.
Come si individuano
Le Dislipidemie si possono diagnosticare attraverso un esame del sangue con il quale si misurano i trigliceridi, il colesterolo totale e le sue due frazioni principali, cioè il colesterolo LDL e HDL.
Il colesterolo LDL, chiamato anche “cattivo”, se presente in quantità eccessive nel sangue contribuisce alla formazione della placca ateromasica, cioè un’area di degenerazione grassa, di colore giallastro, visibile all’interno di arterie di medio e grosso calibro. Facendo riferimento alle linee guida dell’European Society of Cardiology (ESC) e dell’European Atherosclerosis Society (EAS) del 2016, il colesterolo LDL dovrebbe essere minore di 115 mg/dl per i soggetti con un rischio moderato, minore di 100 mg/dl per quelli ad alto rischio, e minore di 70 mg/ dl per le persone ad altissimo rischio.
Con la definizione “soggetti ad alto o altissimo rischio” intendiamo coloro che hanno già avuto Malattie cardiovascolari pregresse, Diabete, Insufficienza renale cronica o importanti fattori di rischio individuali (identificabili attraverso una tabella di stima del rischio, in cui vengono considerati sesso, età, fumo, livelli di colesterolo lo totale e pressione arteriosa).
Il colesterolo HDL, chiamato anche “buono”, svolge una funzione protettiva sullo sviluppo delle Malattie cardiovascolari; pertanto, bassi valori di colesterolo HDL (inferiori a 35 mg/dl nell’uomo e minori di 40 mg/dl nelle donne) sono considerati fattore di rischio per tali patologie.