L’Obesità è una condizione sempre più diffusa, ciò desta grande preoccupazione per le gravi ripercussioni sia individuali che di salute pubblica. Il sovrappeso, pur non essendo sempre una situazione di preoccupazione, rientra invece tra le situazioni considerate genericamente “da correggere”, se possibile. Esiste poi l’aspetto estetico, che è invece la fonte di preoccupazione principale per le persone, e la motivazione per la ricerca di dimagrimento e il controllo del peso. In tutto ciò non si sta forse dimenticando il ruolo del nostro cervello?
Il ruolo del cervello
Da tempo la Psichiatria si occupa dei “disturbi della condotta alimentare”, i cui quadri di riferimento più noti sono l’Anoressia e la Bulimia. Il problema generale del controllo del peso è a lungo rimasto separato, come se si trattasse in parte di un comportamento volontario e quindi non patologico, anche se dannoso, e in parte di un problema dovuto a fattori non meglio specificati. Da quando si è cominciato a parlare dei disturbi associati a sovrappeso cronico o recidivante, come ad esempio il “Disturbo da alimentazione incontrollata”, o il “Disturbo da crisi bulimiche con peso elevato”, qualcosa si è mosso verso la consapevolezza del fatto che non sono soltanto i quadri estremi a far capo al cervello. Ci si trova quindi in una situazione in cui la “colpa” appare sempre più del cervello, ma la soluzione dovrebbe passare per lo stomaco. Cosa intendo? Il primo approccio a chi ha problemi di peso è, nella quasi totalità dei casi, una indicazione su come debba cambiare alimentazione e stile di vita. Spesso questo è l’unico approccio a cui si ricorre, e spesso è utilizzato in maniera insistente nonostante l’evidenza di una inutilità e di un esito fallimentare. Sembra quasi che si possa aprire e chiudere lo stomaco di chi ha problemi alimentari a piacimento, senza fare i conti con il suo cervello.
Ma non è tutto. Si tende a fare anche di peggio, e cioè a trattare il sistema dell’appetito in un modo che tende a farlo “irritare”, cioè peggiora il suo equilibrio, che già magari è precario... Quando un Paziente obeso riferisce di aver provato nella vita un numero svariato di diete, non ci troviamo di fronte ad una persona che, nonostante tentativi terapeutici, non è riuscito a uscire dal problema. Ci troviamo di fronte ad uno dei segni dell’Obesità. Al pari del peso, l’Obesità è definita dai ripetuti fallimenti di controllo del peso. Questi fallimenti sono spesso quotidiani, perché la persona cerca in teoria, ogni giorno, di non mangiare tanto, senza riuscirvi.
Diete e disturbi dell’appetito
Il meccanismo del non controllo dell’appetito è la costante di questi disturbi, spesso anche quando apparentemente il controllo c’è ed è ferreo, come nell’Anoressia. Una rigidità estrema indica fondamentalmente una non-libertà di esporsi al cibo. Altri hanno invece la rigidità opposta, e cioè non riescono a contenersi secondo le proprie intenzioni, ma hanno un istinto troppo immediato, duraturo e urgente. Per una persona con questo tipo di disturbi, modificare l’alimentazione rappresenta comunque una forma di privazione.
Non tutte le diete sono ovviamente uguali: ci sono quelle più o meno drastiche, quelle bilanciate o sbilanciate in termini di composizione dei nutrienti, quelle che escludono o meno determinati cibi, e così via. Ci sono anche diete che cercano di soddisfare esigenze particolari, o caratteristiche metaboliche del Paziente. Il problema vero e proprio è che la Scienza della Nutrizione, e quindi la terapia alimentare, non nascono per controllare i disturbi dell’appetito, ma per adattarsi a esigenze dettate da situazioni ambientali, da richieste particolari o da necessità di adattarsi a malattie o intolleranze. Tuttavia nessuna dieta ha risolto il problema dell’Obesità o del controllo dell’appetito. È invece noto che questo tipo di approcci possono essere sintomatici di un disturbo, e mascherarlo. Così facendo, ad esempio, un’Anoressia potrà inizialmente sembrare il “fare la dieta”. Oppure capita che lo stress della dieta sia seguito da un ritorno al cibo con caratteristiche patologiche, come nella Bulimia post-dieta.
Qualcuno a questo potrebbe obiettare: “meglio provarci che niente”. Questo significa trattare chi ha un problema di controllo dell’appetito come se non l’avesse. Pretendere il controllo da chi ha proprio il problema sul controllo è come pretendere da chi ha una polmonite di guarire respirando bene, o da chi zoppica che guarisca esercitandosi a correre. Inoltre, fare diete senza uno scopo medico o uno scopo funzionale (come nel caso dell’atleta) rischia di indurre un problema anziché prevenirlo.