L’Ipoacusia è il sintomo di una malattia dell’orecchio che, nella maggior parte dei casi, è oggi curabile con grande efficacia 

“Nell’ultimo periodo, Francesco non partecipa molto durante le nostre cene, tende a isolarsi e spesso rimane a casa”; “Vedo Laura sempre stanca alla sera e frequentemente dice di aver mal di testa”; “La maestra di Luca riporta che è spesso distratto”. Queste affermazioni, nonostante siano apparentemente non collegate tra loro, possono sottendere ad una comune problematica: l’Ipoacusia. Infatti avere un deficit uditivo comporta una difficoltà di ascolto che si ripercuote su diverse sfere del nostro vivere quotidiano come la difficoltà di apprendere, di socializzare e integrarsi in un contesto educativo, lavorativo e ricreativo.

Ipoacusia: un problema non solo dell’orecchio

Con il termine Ipoacusia si definisce un deficit uditivo che può presentarsi con diversi gradi di perdita dell’udito (da lieve a profonda), per una o entrambe le orecchie. L’Ipoacusia può essere causata da un danno dell’orecchio esterno, dell’orecchio medio, dell’orecchio interno o del nervo uditivo. Per tali ragioni i quadri di Ipoacusia sono variegati: indipendentemente dalle cause, i soggetti affetti da Ipoacusia, anche se di grado lieve, sono accomunati da difficoltà di ascolto soprattutto in presenza di rumore di sottofondo, in ambienti riverberanti o durante colloqui con più interlocutori. Per comprendere il contenuto del messaggio, il soggetto ipoacusico ha bisogno di grande concentrazione con conseguente sforzo attentivo. Inoltre, se l’ascolto difficoltoso è prolungato o si ripete spesso durante la giornata, può insorgere una vera e propria fatica uditiva descritta dai Pazienti come Cefalea e stanchezza a fine giornata.

Le conseguenze dell’Ipoacusia

Gli effetti dell’Ipoacusia cambiano a seconda dell’epoca di insorgenza del deficit. Le forme presenti dalla nascita o insorte precocemente nei primi anni di vita possono compromettere le capacità comunicative, linguistiche, sociali e portare a deficit attentivi soprattutto in ambiente scolastico. Le forme che insorgono nell’età adulta possono ripercuotersi sfavorevolmente in ambito lavorativo e limitare la partecipazione ai colloqui con conseguente maggior tendenza all’isolamento. È ben documentato infatti che soggetti affetti da Ipoacusia abbiano una maggior incidenza di disoccupazione o pensionamento prematuro rispetto a persone normo-udenti. Anche sentire con un solo orecchio o sentire differentemente tra le due orecchie comporta conseguenze sulla quotidianità. La perdita di binauralità (stereofonia) che ne consegue, comporta difficoltà a localizzare le sorgenti dei suoni con conseguenti difficoltà nel muoversi correttamente nello spazio come nella la guida o nel percepire la provenienza di un auto durante una passeggiata in bicicletta.

Un costo per l’economia mondiale

Per tutte queste ragioni l’OMS ritiene che l’Ipoacusia non trattata adeguatamente costituisca un “costo” per l’economia mondiale, con una spesa stimata in 750 miliardi di dollari per anno. La natura di questi costi non è facilmente intuibile; infatti ai classici costi sostenuti dai sistemi sanitari per curare le conseguenze della malattia, come ad esempio una visita, un esame audiometrico o un intervento chirurgico sull’orecchio, occorre aggiungere quelli legati alla perdita di produttività, i costi sociali, frutto dell’isolamento e delle difficoltà comunicative, quelli necessari all’integrazione scolastica, ecc. L’aspetto veramente interessante, e solo apparentemente paradossale, è che per ridurre questi enormi costi occorre “investire” in salute.

La diagnosi precoce

Il primo punto è che l’Ipoacusia deve essere diagnosticata e trattata il più precocemente possibile; in questo senso occorre attivare e diffondere gli screening uditivi nelle categorie maggiormente vulnerabili: neonati, bambini in età scolare, adulti che assumono farmaci che possono danneggiare l’udito e anziani. Mentre gli screening uditivi neonatali sono ben normati, anche dal punto di vista legislativo, e quasi ubiquitari nel territorio italiano, non esistono nella nostra nazione protocolli condivisi per le altre categorie a rischio.


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