La trasformazione di un impasto di acqua e farina in una pasta morbida e leggera, che dopo la cottura diventa un alimento prezioso, il pane, ha affascinato l’uomo sin dal Neolitico. Il mistero della lievitazione è rimasto tale per millenni ma non ha impedito ai popoli più antichi di produrre il proprio pane: già nel 4000 a. C. gli Egiziani conoscevano l’arte della fermentazione panaria. Riuscivano a mantenere piccole quantità di un impasto crudo, che conteneva i microrganismi lievitanti, e ne usavano una parte da integrare ad un impasto fresco di farina e acqua, che lavoravano e cuocevano nei forni cilindrici di argilla che per primi avevano inventato. E non si limitavano al pane semplice: dai resti ritrovati sappiamo che producevano ben 50 tipi di pane, di diverse forme e dimensioni, a cui aggiungevano semi di papavero, sesamo e altri ingredienti.
La fermentazione del pane
La magia del pane è rimasta tale per secoli, finché nel XIX secolo Louis Pasteur, il grande chimico francese, risolse il mistero delle fermentazioni, dando la risposta alla domanda che intrigava da sempre le menti umane. Egli dimostrò l’esistenza di un gran numero di microrganismi diversi, ognuno responsabile di un particolare tipo di fermentazione.
Ma qual è l’attività svolta da questi fermenti nel pane? Perché sono in grado di convertire farina di grano e acqua in un impasto che raddoppia il proprio volume, si riempie di bolle e diventa lieve e leggero? Oggi abbiamo la risposta a questa e a molte altre domande. La fermentazione panaria avviene perché alcuni tipi particolari di microrganismi utilizzano gli zuccheri solubili presenti nella farina come fonte di energia, trasformadoli in alcool etilico e anidride carbonica. Ed è proprio quest’ultima che causa la lievitazione della pasta di pane, cioè l’aumento di volume dovuto alla formazione di bolle di anidride carbonica che rimangono intrappolate nell’impasto, e che conferiscono al pane, una volta cotto, la caratteristica struttura e la consistenza morbida. Ovviamente, nel pane non si trova più l’alcool etilico, che evapora durante la cottura.
Il lievito di birra
Il tipo di microrganismo utilizzato fin dai tempi più antichi era costituito dai residui di lavorazione della birra, per questo chiamato ancora “lievito di birra”. Oggi la produzione industriale di pane utilizza ceppi di lievito appartenenti alla specie Saccharomyces cerevisiae, selezionati in base al loro vigore fermentativo e alla rapidità di lievitazione, e moltiplicati in condizioni standardizzate, in modo da permettere ai panificatori di tutto il mondo di avere fermentazioni garantite e affidabili. Tuttavia, tale selezione non ha finora tenuto conto dei caratteri funzionali capaci di aumentare le proprietà nutrizionali e nutraceutiche dei prodotti della fermentazione, prima di tutto il pane.
I lieviti naturali
In anni recenti, in Italia e nel mondo, si è riscoperto e diffuso rapidamente un tipo di pane particolare, ottenuto attraverso l’uso di lievito naturale (lievito madre, impasto acido o “sourdough”), che è costituito, oltre che dal lievito di birra (S. cerevisiae), anche da altre specie e ceppi di lieviti e batteri lattici. Questi ultimi partecipano al processo fermentativo producendo, in aggiunta ad alcool etilico e anidride carbonica, anche acido lattico e acido acetico, composti capaci di conferire al pane maggiore acidità e conservabilità. Il lievito naturale ha rappresentato per millenni l’innesco naturale della fermentazione panaria e veniva tramandato di generazione in generazione, e dalle madri alle figlie, rappresentando un bene prezioso sia per le famiglie che per i fornai. Il pane prodotto con lievito naturale ha profumi e sapori complessi, e un elevato valore nutrizionale e nutraceutico, dato dai numerosi composti prodotti durante le fermentazioni dalle diverse comunità microbiche. Basti pensare che nell’impasto prodotto con il lievito naturale (pasta madre) sono presenti circa un miliardo di batteri lattici e 10 milioni di lieviti per grammo e che il loro rapporto rimane sempre costante (100:1).