Diabete, come prevenirlo con l'alimentazione

Autore: Dott.ssa Annalisa MaghettiDott.ssa Elena D’Ignazio

La qualità degli amidi assunti può diventare uno strumento per abbassare la glicemia

I carboidrati vengono tradizionalmente classificati in semplici o complessi in base alla loro struttura chimica; dalle loro dimensioni molecolari si immagina dipenda anche la velocità di digestione e assorbimento.
I carboidrati semplici, a causa della loro struttura molecolare ridotta, verrebbero assorbiti più rapidamente e innalzerebbero più velocemente il livello della glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue). Tuttavia, in base agli studi effettuati, ciò è da considerare superato dal concetto di “indice glicemico degli alimenti”, introdotto a metà degli anni ’90 dagli studiosi David Jenkins e Thomas Wolever. Questo parametro qualitativo risulta essere più attendibile nel valutare l’innalzamento glicemico dopo l’ingestione di un determinato cibo.

Che cos’è l’indice glicemico

Gli alimenti ad alto indice glicemico sono quelli che dopo il consumo determinano un potente effetto sull’innalzamento della glicemia, al contrario si comportano invece gli alimenti a basso indice glicemico. L’indice glicemico misura pertanto la capacità di un determinato carboidrato di alzare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento che è il glucosio puro.
La determinazione dell’indice glicemico è un processo impegnativo e costoso. Viene eseguita in vivo applicando il protocollo di Jenkins- Wolever e prevede un’analisi dei carboidrati da testare, rapportati ad una serie di curve glicemiche alle quali vengono sottoposti 8/10 soggetti sani, per valutare come si modifichi la glicemia in base al tipo di carboidrato introdotto. In letteratura sono state pubblicate tabelle internazionali che riportano gli indici glicemici di vari alimenti e li suddividono in alto, medio e basso IG (indice glicemico).


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