Professor Garattini, come pensa dovrebbero essere riorganizzate le aperture in questa fase di chiusure estreme dovute alla pandemia di Covid?
Innanzitutto va sottolineato che tutte le riaperture richiedono la collaborazione delle persone e quindi, oggi come oggi, sono molto difficili da attuare proprio perché c’è una buona percentuale di persone che non vogliono sottoporsi alle regole necessarie: dalla mascherina al distanziamento, dall’evitare gli affollamenti al lavarsi frequentemente le mani, alle altre regole igieniche. Questo è un po’ il problema che abbiamo, quindi è molto difficile pensare a delle riaperture, quali esse siano (e pensiamo ovviamente alla priorità che rappresentano le scuole) se queste ultime non sono accompagnate da un’importantissima azione di informazione, cosa che in realtà si fa molto poco, salvo qualche sporadico annuncio da parte delle autorità sanitarie. Ciò che voglio dire è che attualmente non si fa un vero lavoro di educazione alla necessità di stare attenti e questo non solo per se stessi ma soprattutto per gli altri: uno potrebbe pensare di rimanere indifferente a ciò che può capitare a se stesso non curandosi di ciò che potrebbe conseguirne per gli altri ma, non dimentichiamo, “la mia libertà finisce quando comincia la libertà degli altri”. Il problema non è quindi che ci siano alcune cose che si possono fare o non si possono fare: si può fare di tutto per le riaperture ma ciò dipende dalla disciplina con cui lo si fa, è tutto qui il problema. I ristoranti sono come i negozi, ad esempio: se la gente non sta attenta, non cerca di evitare i contatti, non porta la mascherina e continua a volersi mettere in contatto con gli altri… qualsiasi cosa si apra è una fonte di pericolo.
Quindi cosa sarebbe importante fare?
Quindi secondo me la cosa importante che bisogna fare è ovviamente predisporre tutto quello che è necessario per le riaperture ma, al tempo stesso, è necessario predisporre tutto quello che è necessario per diminuire le responsabilità di contagio, quindi con tutte le misure che ho sopra citato: questo però richiede anche un’opera di comunicazione e di persuasione. Ma questo non lo si sta facendo. Io tuttora non vedo questo lavoro di comunicazione, fatto salvo qualche Ministro che ci dice che dobbiamo stare attenti se non vogliamo che si chiuda tutto. No, non c’è un lavoro continuo di educazione, che invece dovrebbe essere fatto attraverso i mass media e i social network prendendo in considerazione anche la possibilità che a farlo siano i sociologi, cioè le persone che si occupano di comunicazione. Queste ultime dovrebbero “disegnare” una serie di informazioni da portare alla conoscenza di tutti: allora sì si potrebbe fare qualcosa di meglio per rendere la vita migliore a tutti. Però vediamo che non si fa. Vediamo invece che in questo periodo di grandi chiusure non si sta facendo molto per prospettare la possibilità di nuove riaperture. È semplice affermare di voler riaprire ma non basta: bisognerebbe mettere insieme delle idee per convincere la gente e, ripeto, dovremmo avere degli esperti di pubblicità, dei sociologi, delle persone che sono abituate a fare comunicazione. In questo periodo di chiusura e in attesa di nuove riaperture dovremmo prepararci con i massimi esperti in comunicazione per essere pronti. Se non si fa questo, qualsiasi cosa si faccia è negativa.