Autore: Dott. Fernando Perrone

L’invecchiamento attivo rappresenta il metodo vincente per concepire e vivere la terza età 

Davvero l’Italia “non è un Paese per giovani”, come recita il titolo di un recente film? Una cosa è certa: l’allungamento della vita di questi ultimi anni ha portato ad allargare la percentuale di popolazione ultrasessantacinquenne, potendo godere di una aspettativa di vita di circa 80 anni per l’uomo e di quasi 85 per la donna.
I dati Istat parlano chiaro: agli inizi dell’anno appena trascorso l’età media degli italiani era di quasi 50 anni con un guadagno di due anni in 10 anni (2007); a fronte di 28,6 anni del primo dopoguerra (1950): questo vuol dire che l’asse demografico del nostro Paese si sta spostando gradualmente, ma significativamente, verso la fascia di popolazione sempre più anziana.

Alcuni numeri

Secondo i dati del nuovo Rapporto sull’invecchiamento dell’OMS, l’Italia è il secondo Paese al Mondo dopo il Giappone e il primo in Europa per popolazione anziana: ci sono quasi 13,5 milioni (22,3%) di ultra sessantacinquenni, il 7% di ultraottantenni, 727mila di ultranovantenni e infine 17mila di ultracentenari (il triplo rispetto solo al 2002 ma davvero pochi rispetto alla stima dei 157mila previsti nel 2050!).
Non solo! Nel Marzo dell’anno scorso il Bloomberg Global Health Index ha dato al nostro Paese, su 163 Nazioni, il primo posto nell’indice mondiale della salute, grazie alla presenza, in diverse città tra cui Siena, Firenze e Bologna, di ultracentenari in buona salute che hanno in comune, oltre ad una natalità nella media, anche il fatto che tra di essi si registra un elevato numero di laureati, tante proficue ed intense relazioni sociali, molteplici interessi culturali (come teatro, musei e letture) ma anche dedizione per opere di volontariato... insomma, un “capitale sociale” che fa da solida base per una longevità attiva.

Progetto “invecchiamento in salute”

Inoltre, questi dati ci confermano, da una parte, che la somma del miglioramento degli indici relativi alla qualità della vita, delle caratteristiche del nostro SSN universalistico (con garanzie di accesso alle cure di qualità sempre più elevata per tutti i cittadini a fronte di una relativa compartecipazione alla spesa per i redditi medio-alti), di fattori ambientali e genetici e di stili di vita sani ha portato in pochi anni ad avere il quadro demografico prima descritto; dall’altra, che sta emergendo un nuovo “ceto sociale” che pone ai responsabili politici delle politiche sanitarie, sociali, assistenziali e previdenziali delle sfideviva e partecipe della vita sociale di tutti i giorni. Stiamo parlando del Progetto per l’invecchiamento in salute (Healthy Ageing Subnetwork) che parte da un concetto su cui Medici di famiglia, Geriatri, Neurologi, Psichiatri e Filosofi concordano, e cioè che la vecchiaia non è una malattia perché il cervello è plastico, reagisce agli stimoli interni ed esterni, affronta le difficoltà e si adatta senza troppa fatica alle nuove condizioni o relazioni sociali e ambientali.

Come vivere una sana longevità

La costanza dei rapporti e la rete sociale, familiare e amicale, lo stile di vita attivo, un’alimentazione adeguata, ipocalorica e non troppo abbondante, ma completa di tutti i nutrienti comprese le proteine meglio se di origine vegetale, una regolare attività fisica adeguata alle proprie condizioni di salute, il controllo di fattori di rischio per le malattie croniche (quali Ipertensione, Malattie cardiovascolari, Diabete, Dislipidemia, tumori), l’abolizione di fumo e di alcol in eccesso, fa sì che il soggetto possa tranquillamente vivere una “healthy againg” cioè una longevità sana.
È la vita che si conduce nelle cosiddette “Blue Zone”, cioè quelle aree dove il numero dei centenari è di parecchio superiore alla media, come la nostra Ogliastra in Sardegna od Okinawa in Giappone, solo per citare le zone più note e oggetto di studi.


Pagina precedente 1/2 Pagina successiva »