Stampa questa pagina

Solitudine, come affrontarla

Autore: Dott.ssa Alessandra Gandolfi

Può essere considerata una vera e propria patologia che ha profonde ripercussioni sul benessere psicofisico

Ci sono voluti due milioni di anni per scoprire una “ovvietà”: la felicità è l’assenza di paura, la bellezza l’assenza di dolore. I recenti sondaggi effettuati negli Stati Uniti, su un campione di oltre ventimila persone, indicano che quasi il 30% si sente pervaso da un senso di solitudine persistente. Ebbene, gli studi tradizionali attribuiscono questo sintomo alla Depressione, patologia in aumento a livello mondiale. Ma il vero allarme, forse, non è tanto la Depressione, quanto invece la solitudine, che potremmo considerare una “malattia” a sé stante e non soltanto un sintomo di una Sindrome depressiva: così come le Neuroscienze hanno scoperto, riconoscendo nella Patologia della solitudine un disturbo psicologico autonomo. Il problema della solitudine, quindi, va affrontato separatamente: bisogna distinguere e individuare le persone che ne soffrono, le stesse che magari vengono trattate dal punto di vista terapeutico riferendosi a una diagnosi erronea di Depressione.

Psicoterapia e Ipnosi

La Patologia della solitudine ha ripercussioni ben precise sul benessere psicofisico. Si lega a stati di timidezza eccessiva, nevrosi, abbandono sociale, scarsi rapporti con l’altro sesso, minore partecipazione a manifestazioni pubbliche, religiose e appuntamenti mondani, reticenza a parlare di sé, eccessiva cautela prima di prendere una decisione, insicurezza. Curando la solitudine, probabilmente calerebbero numero e incidenza delle malattie psicosomatiche. Quale terapia e che tipo di supporto, dunque? Questo è un quesito che non viene mai formulato. La gente non lo chiede, non lo pensa, eppure sente il bisogno di aiuto. Ebbene, la Psicoterapia, con l’ausilio dell’Ipnosi, rappresenta un valido strumento in risposta alla sofferenza, in quanto l’Ipnosi si propone come “via maestra” verso il “sentire”.  Infatti, il forte contatto empatico tra Terapeuta e Paziente, che si realizza tramite l’Ipnosi, stimola in maniera “indiretta” la mente del soggetto, che gradualmente riacquista la “gioia” del “nutrimento” relazionale il quale, proprio come il cibo per il corpo, non può essere sempre uguale e prevedibile. Pare anche importante che lo Psicoterapeuta aiuti il Paziente che soffre di una Patologia della solitudine a comprendere che nelle relazioni umane è essenziale accettarne la relatività, l’imperfezione, la scoperta quotidiana. 

La percezione della realtà

Il senso di solitudine va considerato importante quanto la Depressione, se non di più, a causa della sofferenza che comporta, e come detto è cosa diversa. E’ sbagliato, dunque, trattarlo “imbottendo” i pazienti di farmaci antidepressivi. La Patologia della solitudine è uno stato mentale che conduce a sentirsi vuoti dentro, soli e respinti dagli altri. Spesso non si è realmente soli, ciò che conta è come si percepisce la quotidianità: la sensazione di essere soli può essere presente anche in chi è circondato da tante persone. D’altra parte, l’uomo è un animale sociale e ha bisogno di appartenere a un luogo, a una collettività, a un branco: l’importante è farne parte. Studi recenti, ad esempio, hanno dimostrato che le reazioni razziste suscitate allorché veniva mostrata una fotografia di una persona di colore, svanivano se questa apparteneva ad una squadra di calcio o di basket. La passione, i pensieri, le azioni di molti individui nascono dall’impulso di evadere dall’isolamento provocato dai cambiamenti familiari, dalla perdita dei colleghi, degli amici o dell’amore. Dietro tutto ciò che si fa, dunque, c’è il terrore della solitudine. Il paradosso è che per lungo tempo l’abbiamo esaltata: chi riusciva in un’azione da solo, senza il consiglio di nessuno, pareva più meritevole e persona di grande valore. Non sapevamo quasi niente del cervello, non avevamo idea che senza gli altri non si impara, che chi non appartiene a niente e a nessuno è perduto, che la solitudine è la sensazione peggiore in assoluto.


 

Alterazioni psicofisiche

Pare accertato che nella Patologia della solitudine esista una predisposizione genetica, così come nel caso della Depressione endogena. Certamente, comunque, dalla solitudine può derivare la malattia organica, perché è un disturbo psicologico che favorisce alterazioni del sistema immunitario, cardiovascolare e nervoso. Questo spiega i dati epidemiologici, secondo i quali le persone che si isolano dalla società presentano tassi elevati di cancro, infezioni, malattie cardiovascolari e altre patologie, così come rilevato da importanti studi compiuti dalla University of California di Los Angeles, secondo cui tale psicopatologia induce la stimolazione di certi geni coinvolti nei processi infiammatori, mentre limita l’azione dei geni legati alla risposta antivirale e alla produzione di anticorpi. I risultati indicano chiaramente l’esistenza di un’associazione diretta tra l’esperienza soggettiva della distanza sociale e l’alterazione dell’espressione genetica del sistema immunitario.

Le quattro chiavi terapeutiche

Le quattro chiavi per uscire dalla solitudine, suggerite dai ricercatori della UCLA, sono riassunte nell’acronimo inglese EASE.
La prima E, “Extend yourself”, ricorda la necessità di andare oltre se stessi, di ampliare i propri interessi. La A di “Action plans” significa che è necessario applicare un piano d’azione per uscire dalla crisi e convincersi che il senso di solitudine sia qualcosa da cui si debba guarire. La S, “Selection”, sottolinea la necessità di compiere una cernita delle nostre relazioni, in base alla qualità e non alla quantità, in modo che siano più appaganti e possano rendere più sereni. La E finale, “Expect the best”, suggerisce infine di aspettarsi sempre il meglio (anziché il peggio) e rappresenta un invito a un approccio ottimista e consapevole di quali effetti negativi possa avere la solitudine sul benessere psicofisico. Ma al di là delle ricette psicoterapeutiche americane, spesso eccessivamente orientate all’ottimismo e alla positività, considerate panacee di tutti i mali, è fondamentale la presa di coscienza dell’esistenza di questa psicopatologia: forse vecchia come il mondo, ma da poco tempo riconosciuta nella sua incidenza e rilevanza clinica. Una presa di coscienza sia da parte di chi ne soffre, sia di chi si occupa a livello professionale del benessere psicofisico dei Pazienti.

Cron Job Starts