Impronta ecologica del cibo

Autore: Prof. Paolo Ranalli

 

Il paradosso del cibo

Nel nostro Pianeta ci sono 868 milioni di persone che non hanno abbastanza cibo e 1,5 miliardi che invece sono obese o in sovrappeso: per ogni persona denutrita ce ne sono due in sovrappeso. Inoltre, un terzo della produzione alimentare mondiale va sprecata (1,3 miliardi di tonnellate di cibo). Secondo la Fao (“Food and Agricolture Organization of the Uni-ted Nations”) nei Paesi in via di sviluppo ciò avviene perché mancano i mezzi di trasformazione e conservazione delle derrate alimentari; nelle nazioni ricche, invece, lo spreco si verifica all’interno delle famiglie (in Italia, ogni anno buttiamo nella spazzatura 6,6 milioni di tonnellate di cibo, una media di 146 chili a testa).
Molti continuano ad affermare che è necessario raddoppiare la produzione alimentare entro il 2050, per nutrire i futuri 9 miliardi di persone, ma nel mondo si produce già cibo sufficiente, in termini di calorie, addirittura per una popolazione di 12-14 miliardi. Il problema non è la quantità di riserve quanto piuttosto la loro distribuzione: la fame e la malnutrizione sono causate soprattutto dalla povertà e dalla diseguaglianza, cioè da problemi di accesso al cibo di popolazioni di vaste aree del mondo.
Il problema del sovra-consumo, tipico delle aree più avanzate, si è esteso a paesi in via di sviluppo e in economie emergenti (Cina e Brasile, prima di tutto), in ciò stimolato dalla globalizzazione dei consumi. Investendo centinaia di miliardi di euro in pubblicità, i paesi ricchi inondano il pianeta, compresi i paesi poveri, d’immagini mercantilistiche che promuovono uno stile di vita idealizzato, apparentemente accessibile a tutti e sinonimo di felicità e appagamento. Come stupirsi allora che, tra i miliardi di poveri che finora si accontentavano di poco, centinaia di milioni siano pronti a tutto pur di raggiungere questo eldorado?

Meno origine animale, più origine vegetale

È importante adottare comportamenti virtuosi nella scelta degli alimenti, nel tipo di dieta e nello stile di vita. Nei Paesi occidentali più ricchi, occorre ridurre l’apporto energetico giornaliero, consumare meno cibo e sprecarne di meno. È altresì necessario consumare prodotti a minore impronta ecologica (frutta, verdura, legumi, pesce, carne bianca, olio di oliva, “prodotti a km 0”) che sono quelli suggeriti dalla Dieta Mediterranea e che sono alla base della piramide alimentare. La produzione di alimenti di origine animale richiede maggiore consumo di risorse rispetto a quella di alimenti vegetali: inteso come utilizzo di suolo, consumo di acqua ed emissioni di CO2, per quanto gli allevamenti incidano in maniera diversa sull’ambiente: la produzione di 1 Kg di carne rossa causa un’emissione di CO2 sette volte maggiore rispetto alla stessa quantità di carne di pollo.
Al riguardo, occorre superare certi luoghi comuni. Non si deve dire addio alla carne, né deve essere demonizzata, poiché apporta nutrienti importanti. Occorre limitarne il consumo per migliorare la dieta e mitigare anche gli effetti sull’ecosistema.

Uno sguardo al futuro

Per comprendere l’impatto di una dieta ipercalorica basta avere cognizione che se tutto il mondo diventasse vegano, cioè smettesse di mangiare carne, pesce e derivati, le emissioni di gas serra si ridurrebbero del 73% e si avrebbe un risparmio di terra coltivata pari a 3 miliardi di ettari. Chiaramente si tratta di teoria. Il mondo non diventerà vegano da un giorno all’altro e neanche da un decennio all’altro. Non solo per questioni di gusto, ma anche di portafoglio. Non è facile essere vegani in una realtà in cui due frutti biologici costano quanto hamburger e patatine del fast food. E in ogni caso, davvero il mondo potrebbe sostenere 7 miliardi di vegani? Forse no.
E allora bisogna immaginare delle alternative. Prima di inorridire al pensiero degli insetti, riflettiamo sul fatto che fanno già parte della dieta di circa 2 miliardi di persone nel mondo. Un chilo di locuste e grilli produce 2 grammi di emissioni di CO2, contro i 2850 emessi per ottenere un chilo di manzo, e ci fornisce la stessa quantità di proteine che troviamo nel pollo, nel maiale e nella carne bovina. Ovviamente, c’è un mare di aspetti ancora da chiarire prima che il loro impiego si diffonda: per esempio, il cambiamento dei costumi alimentari, la ricerca su allergeni, sicurezza, standard qualitativi e sanitari.


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