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Epatite C, l'importanza della diagnosi

Autore: Prof. Massimo Colombo

La diagnosi precoce dell’infezione aumenta notevolmente le probabilità di accesso e risposta alle cure antivirali

L’infezione cronica prodotta dal virus dell’Epatite C (HCV) affligge oltre un milione di italiani, con maggiore prevalenza nelle regioni del sud e nei gruppi di età superiore a 65 anni. La maggioranza delle persone italiane affette da Epatite C, infatti, ha contratto l’infezione a cavallo degli anni 60-70 a seguito dell’esposizione a sangue infetto, una tipica complicanza delle trasfusioni di sangue effettuate prima di identificare il virus e attribuibile all’uso di strumenti medici riciclati sia in ambiente ospedaliero che domestico.

Pazienti con Cirrosi

Oggi una quota importante di questi Pazienti, forse il 20% di tutti i portatori di infezione cronica HCV, soffre di Cirrosi, con il conseguente rischio di complicanze epatiche come emorragia digestiva, esaurimento funzionale o Tumore del fegato. I Pazienti con Cirrosi, pertanto, rappresentano il gruppo prioritario da trattare, soprattutto ora che disponiamo di regimi terapeutici potenti, inclusi i nuovi farmaci antivirali. Purtroppo, però, non tutti possono accedere a questo tipo di cure, per ragioni di età avanzata o di complicanze epatiche, cardiocircolatorie o renali. Inoltre, i Pazienti con Cirrosi spesso rispondono poco alle cure a base di interferone.

Modalità di infezione

Ai Pazienti infettati dalle trasfusioni di sangue, che possiamo stimare in 7-800.000 individui, si affiancano 3-400.000 Pazienti che invece hanno contratto l’infezione mediante diversi rischi parenterali (la somministrazione di una sostanza per via diversa da quella orale), primo fra tutti l’iniezione endovenosa di droghe. Benché più giovani, recettivi e responsivi alle cure a base di interferone, questi Pazienti a causa del loro stile di vita (abuso di farmaci, alcol o tabacco) spesso devono fronteggiare addizionali rischi per la salute dissociati dall’Epatite C, solo in parte attenuati dalla guarigione dell’infezione. Questi Pazienti, infatti, spesso rimangono esposti al rischio di morte per droga, alcol, tabacco o altre componenti del loro stile di vita.

Le complicanze epatiche

Al di là del profilo epidemiologico dell’Epatite C in Italia, gli esperti riconoscono che la diagnosi precoce dell’infezione aumenta notevolmente le probabilità di accesso e risposta alle cure antivirali, consentendo a molti Pazienti di evitare una precoce morte per complicanze epatiche. Infatti, dopo una lunga fase asintomatica che può durare anche decenni, l’Epatite cronica C tende inesorabilmente ad evolvere verso gravissime complicanze come la Cirrosi, lo Scompenso Ascitico e l’Epatocarcinoma, cioè il Tumore primitivo del fegato. In un numero limitato di Pazienti, poi, l’infezione cronica può causare complicanze in organi diversi dal fegato, come la Porpora cutanea e la Glomerulonefrite.


L’evoluzione dell’infezione

Le modalità di infezione, le caratteristiche demografiche del Paziente e l’eventuale presenza di alcune malattie associate possono accelerare l’insorgenza di complicanze epatiche dell’infezione HCV. Quest’ultima, invece, decorre lentamente nei Pazienti infettati in epoca perinatale o infantile, e nei Pazienti che non presentano altri disturbi come sovrappeso corporeo, Diabete, Ipertensione Arteriosa, abuso di alcol o esposizione a farmaci capaci di manipolare il sistema immunitario. Diversi studi hanno infatti documentato il ruolo nocivo dell’abuso di alcool, del sovrappeso o del Diabete nell’accelerare lo sviluppo di patologie come Fibrosi avanzata, Cirrosi e Tumore nei Pazienti HCV positivi. La distinzione tra queste due tipologie di Pazienti ha riflessi pratici nei programmi di screening, sorveglianza clinica e trattamento. Purtroppo, per ragioni puramente economiche, pochi Paesi hanno promosso uno screening indifferenziato della popolazione per Epatite C. In Italia, ad esempio, lo screening di massa porterebbe a identificare centinaia di migliaia di individui meritevoli di cure, ma non disponiamo di adeguate risorse economiche di copertura.

La diagnosi

Ogni anno una piccola percentuale, forse il 2% di tutta la popolazione infetta da HCV, viene identificata come portatrice d’infezione, e dopo un accurato scrutinio solo una parte viene sottoposta a trattamento antivirale. Lo scrutinio del danno epatico causato dall’HCV si fonda sul monitoraggio periodico del Paziente con esami del sangue e delle funzioni del fegato, associati a tecniche non invasive di diagnosi come Fibroscan ed Ecografia dell’addome. Questi esami permettono di identificare tempestivamente i Pazienti con Epatite severa, in progressione verso la Cirrosi e a maggior rischio di Tumore, selezionando quindi quelli con priorità di cura antivirale. I malati di Cirrosi necessitano anche di sorveglianza endoscopica, mediante esofagogastroscopia tesa alla ricerca di varici, potenziali fonti di emorragia digestiva.

Tumore al fegato e varici

La diagnosi precoce di Tumore al fegato e di varici esofago-gastriche è una buona pratica clinica, poiché permette di ottimizzare il trattamento delle complicanze. La sopravvivenza del Paziente cirrotico con Carcinoma del fegato infatti è maggiore nei casi di diagnosi tempestive, poiché il Tumore può essere trattato con cure radicali come l’utilizzo del Laser, l’asportazione chirurgica e, in casi selezionati, il trapianto di fegato. L’emorragia da rottura di varici, dal canto suo, è una temibile complicanza delle Cirrosi più avanzate e può essere prevenuta con l’assunzione di farmaci betabloccanti e, nei Pazienti insensibili o refrattari, mediante legatura endoscopica dei cordoni varicosi. La diagnosi precoce di Cirrosi da Epatite C e la conseguente eliminazione dell’infezione permette di prevenire e meglio trattare alcune complicanze metaboliche della malattia da HCV. Negli ultimi anni la sopravvivenza del Paziente con Cirrosi da HCV è aumentata significativamente, grazie all’applicazione precoce di trattamenti antivirali e alla maggiore capacità degli Epatologi di prevenire le complicanze dell’Ipertensione portale.


 

Il trattamento con interferone e ribavirina

L’eliminazione del virus HCV è l’unico approccio capace di modificare la prognosi dell’Epatite cronica virale C, prevenire l’insorgenza della Cirrosi e la comparsa delle sue complicanze tardive. Fin dagli anni ’90 era nota la capacità del solo interferone di rallentare la progressione della Fibrosi in alcuni Pazienti con Epatite cronica. Numerosi studi, in seguito, hanno dimostrato l’efficacia antivirale dell’uso combinato di interferone e ribavirina, ed ha evidenziato che la progressione clinica della Cirrosi era rallentata nei Pazienti dopo l’eradicazione del virus. Secondo un’indagine del Policlinico di Milano, infatti, il 61% dei Pazienti con HCV eradicato con interferone e ribavirina risolve anche la Cirrosi nell’arco di cinque anni. I Pazienti guariti dalla Cirrosi, poi, tendono a non sviluppare Tumori al fegato, emorragie digestive o altre disfunzioni epatiche. Oltre tutto, i benefici clinici dell’eliminazione del virus non sono confinati al fegato, ma riguardano anche la prevenzione del Linfoma non Hodgkin, il cui rischio è notoriamente incrementato nei Pazienti con infezione cronica da HCV e Diabete, altra potenziale complicanza dell’Epatite C. La guarigione dal virus previene anche le patologie innescate dalle Crioglobuline correlate all’Epatite C, in particolare la temuta Glomerulonefrite Membrano-proliferativa. Ultimo aspetto, ma non meno importante, la guarigione dell’infezione HCV determina anche un netto miglioramento delle funzioni neurocognitive, come dimostrato da diversi studi basati su indagini funzionali con risonanza magnetica del cervello. Non vi è dubbio quindi che l’eradicazione del virus con terapie a base di interferone e ribavirina migliori la prognosi dell’Epatite, riducendo la mortalità nei Pazienti responsivi. È ragionevole ipotizzare che i futuri trattamenti “totalmente orali”, costituiti da farmaci efficaci, sicuri e ben tollerati, non potranno che ampliare l’applicabilità e i benefici clinici della cura dell’Epatite C.

I nuovi trattamenti anti HCV

Si calcola che nella metà dei casi in Italia l’infezione HCV è sostenuta dal “genotipo 1” del virus, il più difficile da guarire. Con la cura tradizionale a base di interferone e ribavirina è possibile debellare questo genotipo soltanto in un Paziente su tre. Di recente è entrata in commercio una nuova classe di antivirali, gli inibitori della proteasi del virus C, due farmaci diversi basati sui principi attivi Boceprevir e Telaprevir. La triplice terapia che associa il Boceprevir (o il Telaprevir) con interferone e ribavirina consente di eliminare il virus in sette Pazienti su dieci, raddoppiando così la percentuale di guarigione rispetto alla cura classica composta da interferone più ribavirina. La triplice terapia non è però esente dal rischio di selezionare ceppi di HCV geneticamente resistenti, che compromettono la buona riuscita delle cure, e può causare effetti collaterali come Anemia, Dermatite e disturbi della mucosa respiratoria, talvolta in associazione con disturbi del gusto e disturbi anorettali. Va ricordato in particolare che, mentre la triplice cura è molti efficace nei Pazienti con Epatite moderata, nel Paziente con Cirrosi il tasso di guarigione si ferma al 50%, a fronte di un rischio maggiore di infezioni e Anemia.

La risposta del Paziente

Anche la durata del trattamento può variare sensibilmente. La fase più delicata, che coincide con i primi mesi, richiede pressanti controlli del sangue, per verificare la risposta virologica e l’entità degli effetti collaterali, in modo da riconoscere i Pazienti a cui va interrotta la cura, per evitare l’accumulo di ceppi virali resistenti, oltre a inutili tossicità e spese. Per il costo e la complessità della cura, la triplice terapia non è indicata per tutti i Pazienti, ma è prioritaria nei Pazienti con Cirrosi e nei precirrotici mai trattati, e nei Pazienti che hanno fallito in precedenza la cura duale, cioè interferone e ribavirina. Sono esclusi dalle cure invece le persone fragili come i cirrotici avanzati o scompensati e i portatori di trapianto di rene, cuore, polmone e midollo, mentre per Pazienti con Epatite lieve la prescrizione è valutata caso per caso. A Pazienti sensibili all’interferone può essere offerto il trattamento duale con interferone e ribavirina, quando riesce a sopprimere il virus già dopo quattro settimane, anche se la pratica più diffusa nei Pazienti con malattia epatica lieve è di rinviare le cure in attesa di farmaci a somministrazione orale più tollerati e più efficaci.

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