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Dieta e geni, quale relazione?

Autore: Dott.ssa Serena Guidotti

Nuove branche di studio hanno l’obiettivo di comprendere meglio il legame tra cibo e DNA per poter intervenire sul miglioramento dei comportamenti alimentari, svolgendo così un ruolo di prevenzione 

L’alimentazione ha un ruolo cruciale per il benessere delle persone e le interazioni tra nutrizione e Genetica sono ormai note alla scienza da diversi anni.
La dieta, infatti, influisce sullo sviluppo e sulla prevenzione di numerose patologie: da quelle cardiovascolari a quelle metaboliche (come il Diabete), fino al Cancro e, grazie alle nuove conoscenze e alle nuove tecnologie della Biologia, si iniziano a comprendere meglio anche le basi molecolari dell’interazione tra geni e cibo. Lo studio di questa relazione rappresenta una delle branche più avanzate della Scienza dell’alimentazione, che sta permettendo di comprendere e analizzare molti dei meccanismi alla base dei processi che influiscono sullo sviluppo e sulla prevenzione delle patologie.

Patrimonio genetico e ambiente

Il patrimonio genetico dell’uomo racchiude più di 30.000 geni e ogni gene è costituito a sua volta da una sequenza di DNA che “codifica” (ovvero fornisce informazioni) per specifiche proteine. Questo enorme patrimonio è in buona parte identico in tutti gli uomini, con una minima quota di differenza (che si stima essere attorno allo 0,1%) che è fondamentale poiché è proprio questa a rendere unico ogni singolo individuo.
Il modo in cui il genoma di un soggetto “interagisce” con gli alimenti è del tutto individuale e può portare a una variazione dell’espressione dei geni coinvolti in specifici processi metabolici. Se però da un lato il patrimonio genetico non è modificabile, dall’altro l’ambiente ha un ruolo fondamentale sull’espressione genica: dieta, stile di vita, stress, droghe e inquinanti sono in grado di interagire con i geni, indurne l’attivazione o lo spegnimento e possono influire sull’attivazione di processi metabolici (come l’invecchiamento cellulare) o sulla comparsa di patologie.
È proprio in questo ambito di studio, in cui viene valutata l’interazione tra patrimonio genetico e ambiente che si inserisce la Medicina personalizzata, branca in cui il DNA non è più considerato come “immutabile” ma, al contrario, come una struttura che è possibile influenzare grazie alla correzione dello stile di vita e dell’alimentazione, in modo da prevenire o intervenire su specifiche patologie.

Dieta e Genetica

Lo studio delle interazioni tra dieta e Genetica sembra dunque avere un ruolo sempre più centrale in ambito medico e ha aperto nuove branche di ricerca che hanno come obiettivo quello di comprendere meglio il legame biunivoco tra cibo e DNA ovvero da un lato in che modo la Genetica di un individuo determina la risposta a specifici alimenti e dall’altro come gli alimenti siano in grado di influire sul DNA e sull’espressione genica. Già da diversi anni si sono sviluppati alcuni nuovi campi di studio che stanno chiarendo, con approcci e modalità differenti, il rapporto tra alimentazione e geni: la Nutrigenetica, la Nutrigenomica e l’Epigenomica nutrizionale, costituiscono le cosiddette Scienze Genomiche Nutrizionali.

La Nutrigenetica

Questa disciplina studia il modo in cui ogni singolo individuo reagisce agli stimoli provenienti dalle molecole presenti nei diversi alimenti. Fu introdotta nella metà degli anni 70 e indaga in che misura e con quali modalità il genoma di un individuo possa influire sulla dieta. La Nutrigenetica ha, dunque, come scopo quello di intervenire sull’alimentazione basandosi su informazioni provenienti dal genoma stesso, in modo da intervenire sulla prevenzione o sulla cura di alcune patologie. Il DNA può fornire informazioni sulla terapia dietetica, in modo da prevenire o ritardare in maniera diretta o indiretta l’insorgenza di malattie correlate all’alimentazione, come ad esempio quelle cardiovascolari legate all’Ipercolesterolemia e all’obesità, oppure disturbi legati a disfunzioni enzimatiche che causano Intolleranze alimentari o Malattie metaboliche, come la Celiachia o l’Ipolattasia (che determina Intolleranza al lattosio). Altro aspetto interessante che riguarda le analisi di Nutrigenetica è quello di individuare soggetti a maggior rischio, in modo da permettere interventi preventivi mirati.


La Nutrigenomica

Questa branca di studio valuta in che misura e come il DNA è influenzato da quello che mangiamo ovvero il modo in cui il cibo influenza i geni e le funzioni a essi associati. Questa disciplina analizza le correlazioni tra alimenti e le modifiche che essi possono indurre al DNA. Per questo, se da una parte la Nutrigenetica ci dice come un soggetto può rispondere a un dato alimento, dall’altra la Nutrigenomica ci dice come un alimento può modificare l’espressione dei geni, influenzando la lettura dell’informazione genica e di conseguenza il metabolismo e lo stato di salute.

L’Epigenomica nutrizionale

Questo ambito di ricerca si occupa delle interazioni tra le molecole che introduciamo con la dieta e le modifiche dell’espressione genica che avvengono senza modifiche della sequenza del DNA. Queste modifiche sono in grado di alterare l’espressione genica e complessivamente il fenotipo di un individuo, mantenendo inalterato il genotipo.

Le diverse risposte ai nutrienti

Con l’avvento della Nutrigenetica, Nutrigenomica ed Epigenomica nutrizionale, le vecchie conoscenze in ambito alimentare sono, dunque, cambiate. Oggi sappiamo, infatti, che ogni singolo individuo, in base alla propria costituzione genomica, risponde in maniera differente ai nutrienti. La Nutrigenetica studia il modo in cui ogni persona, che ha un DNA diverso dagli altri, reagisce agli stimoli provenienti dalle molecole presenti nei diversi alimenti, e lo fa analizzando le varianti geniche individuali, correlandole alle diverse condizioni di malattia. Un esempio classico è quello della Fenilchetonuria, una malattia metabolica, determinata da una mutazione genetica che porta a un cattivo funzionamento enzimatico, che determina l’impossibilità a tollerare la normale dieta contenente fenilalanina (un amminoacido), causando, se non opportunamente trattato, un progressivo deterioramento cognitivo. Questa è la dimostrazione di come una mutazione del DNA sia in grado di influire sulla risposta dell’organismo all’assunzione di un dato nutriente (in questo caso proteine contenenti la fenilalanina).

Il caso dei polimorfismi genetici

La situazione diventa molto più complicata se si analizzano patologie di tipo poligenico/multifattoriale (imputabili all’azione combinata di più geni mutati e fattori ambientali) in cui il patrimonio genetico contribuisce solamente in parte all’espressione della malattia. In questo ambito ci sono molti studi sui cosiddetti polimorfismi genetici che si possono associare a diverse patologie. I polimorfismi sono varianti di espressione di un gene che potrebbero determinare un’alterazione nel funzionamento proteico (per esempio possono ridurre l’attività di un enzima), predisponendo un individuo allo sviluppo di una malattia. Un esempio emblematico è il polimorfismo del gene MTHFR, un enzima che utilizza i folati contenuti nella dieta come cofattori per metabolizzare l’omocisteina (un aminoacido prodotto dal nostro organismo). Se presente, questo polimorfismo determina una minore attività enzimatica con un aumento dell’omocisteina nel sangue che costituisce un fattore predisponente alla Trombosi, a un maggiore rischio cardiovascolare o al concepimento di feti con malformazioni congenite in gravidanza. L’assunzione nella dieta di acido folico determina un miglioramento dell’attività della MTHFR e una conseguente riduzione del rischio per i disturbi cardiovascolari e rischio di Trombosi. In questo caso, quindi, l’assunzione di un nutriente corregge un’alterazione genetica.

Mutazioni genetiche, stili di vita e obesità

Esistono poi altri disturbi in cui il contributo delle varianti genetiche è meno chiaro. Consideriamo per esempio l’obesità, le patologie cardiovascolari e quelle metaboliche. Nella popolazione generale si riconoscono forme frequenti di obesità, disturbi cardiovascolari e metabolici legati a mutazioni poligeniche/ multifattoriali in cui si individuano sia interazioni gene-gene che gene-ambiente. Recenti studi, per esempio, hanno identificato almeno 20-40 geni associati singolarmente ai diversi parametri clinici valutabili nei soggetti obesi (come BMI, ossia l’indice di massa corporea, circonferenza addominale, rapporto circonferenza addominale/bacino e siti corporei di accumulo di adipe). Ciò che è emerso è che, oltre a una predisposizione genetica (che pesa dal 40% all’80%), esistono altri fattori genetici predisponenti, come varianti genomiche, modificazioni epigenetiche, contributo nutrizionale e ambientale. In un recente studio si è dimostrato, infatti, che esiste una correlazione delle varianti genetiche con gli stili di vita e i fattori ambientali, con rischio ulteriormente aumentato nei soggetti predisposti geneticamente a sviluppare obesità, patologie cardiovascolari e complicanze correlate. In buona sostanza è come se la Genetica creasse un ambiente fertile per lo sviluppo di una condizione o patologia, e su questo terreno fertile l’alimentazione, lo stile di vita e l’ambiente fanno tutto il resto.

Verso una possibile prevenzione

Lo sviluppo delle scienze genomiche nutrizionali sta dunque fornendo un contributo cruciale alle conoscenze nell’ambito del rapporto tra geni e nutrizione. Gli studi hanno permesso di iniziare a comprendere i meccanismi attraverso cui l’interazione geni-nutrienti influisca sulla predisposizione e sullo sviluppo di alcune patologie. Per esempio, la letteratura scientifica riporta un numero di studi sempre crescente sull’effetto che la dieta materna ha sullo sviluppo embrionale e sulla salute del bambino, effetti dovuti a modifiche genetiche ed epigenetiche di geni fortemente connessi con la crescita e con il metabolismo che possono portare allo sviluppo di obesità infantile o a Sindrome metabolica in età adulta.
In conclusione, le conoscenze in ambito genetico possono essere una buona base per attuare interventi di prevenzione e di cura che abbiano come scopo quello di controllare le condizioni cliniche determinate dalla cattiva interazione tra geni e alimenti, soprattutto intervenendo sul miglioramento dei comportamenti alimentari in alcuni momenti fondamentali della vita dell’individuo, come per esempio nell’infanzia, e riducendo la probabilità di insorgenza di complicazioni legate a malattie cardiovascolari, obesità e malattie metaboliche.

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