La febbre del pianeta

Autore: Intervista al Prof. Massimo Clementi di Antonella Ciana

Lei ha affermato di recente che “il Coronavirus si è indebolito ed è meno aggressivo”. Quali sono le dimostrazioni a sostegno di questa tesi?
Questa tesi deriva da un’osservazione clinica. Come Direttore del Laboratorio di Microbiologia, mi confronto costantemente con i colleghi della Terapia Intensiva, delle Medicine, delle Chirurgie… le prime settimane eravamo tutti spaventati dall’inizio aggressivo di questa epidemia. Progressivamente, ci siamo resi conto che in primo luogo i malati da terapia intensiva (cioè all’ultimo stadio della malattia, in insufficienza respiratoria) cominciavano a diminuire progressivamente. Successivamente, cominciavano a diminuire gli accessi al Pronto Soccorso e alle Medicine, nel frattempo cominciava ad incrementare un’altra categoria di Pazienti che erano quelli che si erano infettati ma che non avevano sintomi gravi: non si poteva ancora definirli asintomatici perché magari avevano febbre e anosmia, alcuni dei sintomi classici di questa infezione, e pertanto potevano essere isolati in casa. Ricordo che nel 2009 ci fu una pandemia in Messico, detta “suina”, dovuta a un virus influenzale anch’esso H1N1; ci furono morti, tanti infettati, e la corsa a preparare il vaccino. Ebbene, nel corso di quell’estate il virus circolò per alcuni mesi e poi si svuotò progressivamente di significato clinico. Insieme ad altri colleghi abbiamo fatto degli studi per vedere se il virus mutava: muta un po’, anzi probabilmente la sua caratteristica sta proprio in questa capacità di mutare non in maniera imponente, però nel tempo abbastanza rilevante. Nello studio, ho considerato 100 Pazienti dei primi giorni di marzo e 100 Pazienti degli ultimi giorni di maggio, confrontandoli per la loro carica virale. Il risultato è oggettivamente inequivocabile: la presenza di virus nel loro faringe in marzo era altissima, alla fine di maggio bassissima: se in un tampone del primo gruppo si rilevava un indice di 70mila, nel secondo si aggirava intorno a 700. Una differenza stratosferica. Siamo arrivati ad avere dei Pazienti che sono positivi borderline, cioè proprio lievemente positivi, e non siamo in grado di dire se questi Pazienti siano in grado di infettare ancora. Ad esempio, io ho isolato tante volte questo Coronavirus nei campioni clinici del Paziente nella fase di inizio dell’epidemia, perché era molto facile, mentre ora non riesco più a isolarlo dai campioni clinici perché c’è poco virus e probabilmente quel poco virus non riesce più a darmi una infezione in vitro. Insomma, il cambiamento per ora è nell’intensità, ma non è ancora avvenuta sul piano genetico: il virus diminuisce la carica virale per adattarsi all’ospite.

Scenari futuri di questa evoluzione?
Gli scenari possibili sono tre: a due dò poca possibilità, a un altro credo un po’ di più. Poca possibilità la dò a un ritorno massiccio del tipo seconda ondata che qualcuno ha preconizzato come la Spagnola (ma la Spagnola era nel 1918, quindi erano altri tempi, non c’erano neanche gli antibiotici, la gente moriva di virus ma anche di pneumococco). La seconda possibilità, a cui lo stesso credo poco, è che accada quello che è accaduto nel 2003-2004, e cioè che improvvisamente con l’estate il virus scompaia e poi non riappaia più; questo è successo con la Sars 1. Questo virus invece è circolato molto nel mondo, è ancora molto presente, le epidemie avranno l’andamento che hanno avuto nel nostro Paese e anche negli altri, cioè raggiungeranno un picco e poi discenderanno. A questo punto il virus manterrà una sua circolazione, e quello che è possibile che accada è che ci siano situazioni come quelle che vediamo oggi, cioè questi focolai di “ripresa” dell’infezione molto localizzati, almeno all’inizio, e qui dovremmo essere bravi nell’identificarli il prima possibile, quando sono ancora piccoli, perché un focolaio piccolo si gestisce bene e un focolaio che è diventato grande lo si gestisce peggio;  poi rischia di aprire un fronte più grande, isolare i Pazienti, identificare i soggetti infetti (bisogna fare attenzione, perché adesso i soggetti infetti sono quasi sempre asintomatici, ma comunque vanno isolati perché potrebbero in ogni caso infettare); e così si dovrà accompagnare questa fase piano piano, con la speranza che questi focolai si riducano sempre di più, che vadano verso uno spegnimento e che questa infezione venga portata a spegnersi. Dobbiamo però mettere in conto un periodo di convivenza in questo terzo scenario, che secondo me oggi è il più realistico.

Per approfondire: Eliana Liotta, Massimo Clementi “La rivolta della natura”, Editore La nave di Teseo

 


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