Nonostante da diversi decenni sia stato registrato un calo nel numero complessivo degli interventi di asportazione delle tonsille (Tonsillectomia), questo trattamento chirurgico resta comunque in assoluto una delle procedure chirurgiche più praticate. Le sue vicende appaiono indissolubilmente legate a quelle della disciplina otorinolaringoiatrica, al punto che nell’immaginario collettivo, non solo popolare ma talora anche scientifico, può arrivare addirittura ad identificare, pur se in forma inadeguata e restrittiva, il carattere più distintivo di questa specialità medica.
La Tonsillectomia è ritenuta oramai una metodica di fatto routinaria; ciò nonostante il suo ruolo è tutt’altro che banale, dal momento che le sue complicanze possono, benché raramente, rivelarsi particolarmente gravi.
Quali indicazioni?
Allo stato attuale, si può sostenere che nel bambino il fattore da considerare ai fini della decisione di dover intervenire chirurgicamente sia in particolare il grado di incremento del volume (ipertrofia) raggiunto dalle tonsille, valutando se vi è ostacolo più o meno significativo alla corretta pervietà della via aerea.
Tale aspetto è valido specialmente nella prima infanzia, può identificarsi nella cosiddetta “Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno” (OSAS) e a volte far propendere per una scelta chirurgica anche molto precoce (al di sotto dei 3 anni d’età), pur in assenza di episodi infiammatori ricorrenti.
La Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno
È un disturbo della respirazione che insorge durante il sonno e si caratterizza per una riduzione prolungata, parziale o completa intermittente del flusso aereo. Viene indotta da un restringimento, sino al collasso, dello spazio faringeo e riconosce appunto tra le cause più comuni il marcato incremento del volume delle tonsille, in genere associato ad una altrettanto importante incremento del volume delle adenoidi.
Le manifestazioni cliniche di questa Sindrome includono: russamento notturno abituale, sonno irregolare con movimenti paradossi toracoaddominali, atteggiamento respiratorio pressochè costantemente “a bocca aperta”, sonnolenza diurna a causa dell’alterazione della ventilazione e degli scambi respiratori gassosi, deficit di attenzione e concentrazione, disturbi comportamentali, ritardo della crescita, sino ad arrivare, nelle forme più severe, a conseguenze di tipo cardiovascolare e neurocognitivo. Al cospetto di una Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno conclamata, con tonsille di dimensioni tali da occupare oltre i tre quarti dello spazio trasversale dell’orofaringe, l’intervento chirurgico si impone entro tempi ragionevolmente brevi e costituisce una misura terapeutica realmente risolutiva e determinante.
Un esame utile
Qualora la dimensione tonsillare e il quadro clinico contingente non corrispondessero completamente a quelli di un’OSAS, un test diagnostico ritenuto utile in età pediatrica a stabilire l’effettiva gravità della patologia e, di conseguenza, ad orientare o meno verso una Tonsillectomia, è indubbiamente la Polisonnografia.
Quest’ultima è un’indagine non invasiva, che permette la registrazione, nel corso della notte, dello stato di ossigenazione del sangue, nonché di tutti i parametri respiratori patologici che possono manifestarsi durante il sonno. In particolare, l’indice di apnea/ipopnea, corrispondente al numero di eventi ostruttivi per ora di sonno, costituisce la misura polisonnografica maggiormente impiegata: in età pediatrica un valore maggiore a 1 viene considerato non fisiologico, mentre un valore maggiore a 5 è giudicato già francamente patologico.
Nello specifico, i casi che andranno attentamente dettagliati sono quelli borderline, ossia i casi in cui l’indice di disturbo respiratorio risulta compreso fra 3 e 5 (OSAS lieve) e fra 5 e 10 (OSAS moderata). Simili situazioni dovranno prevedere un adeguato periodo di osservazione (3-6 mesi), al termine del quale andranno selezionate le forme da destinare ad una risoluzione chirurgica e quelle viceversa da sottoporre a periodiche visite di controllo.
Numero di episodi di Tonsillite
A parte quello sin qui analizzato, l’altro criterio fondamentale da prendere in considerazione per un’indicazione alla Tonsillectomia corrisponde al numero di episodi di Tonsillite acuta ricorrente. Oltre tutto, questo aspetto in età adulta è quello veramente prioritario, dal momento che, ad accrescimento corporeo completato, i diametri maggiori di cavo orale e canale faringeo consentono più agevolmente, rispetto al caso del bambino, di sopportare un eventuale significativo ingrossamento delle tonsille.
È un dato abitualmente accettato e condiviso quello che prevede di intervenire chirurgicamente, tanto in età pediatrica che adulta, in presenza di un numero di 5 o più episodi annui di Tonsillite. Talora è utilizzato anche uno schema più articolato, che contempla 7 episodi nell’anno precedente oppure 5 episodi all’anno nei 2 anni precedenti o ancora 3 episodi all’anno nei 3 anni precedenti. In tutti i casi, la definizione di ogni singolo episodio dovrà essere rigorosa e comprendere uno o più dei seguenti sintomi o segni: rialzo febbrile superiore a 38,3°C, tumefazione linfonodale latero-cervicale dolente superiore a 2 cm, presenza di essudato purulento sulla superficie tonsillare, tampone tonsillare positivo per lo streptococco beta-emolitico di gruppo A (cosiddetto streptococco piogene).
Ciò per evitare di includere anche forme più banali di semplice “mal di gola” o faringite, che non soddisfano i criteri precedenti. Si raccomanda inoltre, per valutare l’andamento dei sintomi e l’evoluzione clinica, un ulteriore periodo di osservazione di sei mesi, prima di poter davvero considerare l’intervento, preso atto della tendenza della Tonsillite ricorrente a migliorare progressivamente nel tempo.
Più sicurezza
È proprio grazie ad un’attenta e corretta interpretazione dei parametri sopra descritti che la Tonsillectomia viene oggi praticata solo quando effettivamente necessaria.
Quello dell’indicazione ragionata è uno dei profili che ha contribuito in modo determinante ad accrescere i livelli di sicurezza di questo intervento. Accanto ad esso, ricordiamo anche l’adeguamento dei protocolli attuati per l’Anestesia e l’affinamento delle tecniche chirurgiche. Infatti, divenuto giustamente tassativo, in particolare nel bambino, il ricorso alla narcosi con intubazione tracheale (sino a meno di trent’anni fa veniva ancora fatta inalare una miscela di gas anestetici ed ossigeno, senza alcuna protezione della via aerea), l’Otorinolaringoiatra ha dovuto necessariamente adeguarsi al nuovo approccio anestesiologico, introducendo metodiche operatorie sempre più accurate ed efficaci nei confronti di quelle che restano ad oggi le complicanze maggiori dell’intervento, ovvero il sanguinamento (manifestazione giustamente temibile ma oramai estremamente contenuta per incidenza) e il dolore.