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Epatite B, le nuove terapie

Autore: Prof. Massimo Colombo

La vaccinoprofilassi di tutti i nuovi nati, unitamente allo sviluppo dei programmi di screening e di terapia antivirale, permetteranno un controllo sempre maggiore della diffusione dell’Epatite B 

L’Epatite B è un’infezione provocata dal virus HBV che ha la caratteristica di replicare nel fegato e di essere trasmesso mediante contatto con sangue e fluidi corporei come sperma, liquidi vaginali e saliva di soggetti portatori dell’infezione. Il contagio si verifica spesso tra persone che utilizzano strumenti pungenti contaminati dal virus come spazzolini, rasoi, e siringhe, durante rapporti sessuali non protetti e nei neonati da madre infetta in regioni che non hanno attivato la vaccinazione neonatale contro l’Epatite B. Nei paesi a maggiore sviluppo economico, i rapporti sessuali non protetti con partner occasionali e l’infusione di droghe in vena costituiscono la prevalente modalità di trasmissione dell’Epatite B. L’infezione in epoca infantile è responsabile del maggior numero di casi di Epatite cronica B osservati negli adulti. Infatti, l’infezione tende a cronicizzare nel 90% dei neonati, nel 30% dei bambini di età compresa tra 1 e 5 anni e solo nel 5% dei giovani ed adulti immunocompetenti. L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che siano ben 257 milioni le persone cronicamente infettate da questo virus e, mentre l’Epatite acuta con esito mortale (Epatite fulminante) è piuttosto rara, il maggior numero di decessi, stimati in oltre 1 milione l’anno, da Epatite B è provocato dall’evoluzione cronica verso la Cirrosi e il Tumore primitivo del fegato. Questi numeri e l’aumento dei casi di Epatite B nei paesi a medio ed elevato sviluppo economico, hanno spinto la stessa OMS a lanciare un proclama per l’eliminazione dell’infezione entro il 2030, puntando sulla crescita dei programmi di screening e di terapia antivirale.

Quando la terapia è necessaria

Nel 2016, a fronte di 94 milioni di Pazienti con Epatite B cronica idonei a ricevere la cura antivirale specifica, quest’ultima è stata effettivamente erogata a poco meno di 5 milioni. Questo non dipende dalla difficoltà di gestione delle cure, che invece sono semplici, efficaci ed innocue, nonché somministrate per via orale. Da oltre dieci anni disponiamo infatti di regimi terapeutici che sopprimono il processo dell’enzima polimerasi che controlla la replicazione del virus HBV. Si tratta, in particolare, dei farmaci antivirali Entecavir e Tenofovir, oltre al derivato TAF di Tenofovir che è indicato nel trattamento di Pazienti più anziani con Insufficienza renale. Per ragioni di costo-efficacia, la cura dell’Infezione HBV è raccomandata nei soli Pazienti con malattia epatica attiva, cioè con marcatori sierologici di replicazione virale significativa e di infiammazione epatica importante (transaminasi sopra la norma). Sono inclusi tutti i Pazienti con malattia epatica più avanzata, verificata con un esame dell’elasticità del fegato mediante FibroScan, oppure con specifici punteggi ottenuti da Test sierici combinati (APRI e FIB4), mentre l’esame istologico del fegato con biopsia epatica è oggi limitato ai casi di diagnosi incerta o ai Pazienti con più morbidità. Alcune categorie di Pazienti hanno priorità assoluta di cura antivirale come Pazienti con Epatite acuta ad evoluzione fulminante, cioè con un rapido declino delle funzioni epatiche, con Ittero ed Encefalopatia, nonché i Pazienti con Cirrosi in scompenso clinico con Ittero e/o Ascite, oppure ancora, i Pazienti con grave deterioramento clinico dell’infezione cronica.

In tutti gli altri casi

Nel Paziente non complicato, la cura viene decisa solo dopo aver definito la fase di replicazione virale e lo stadio corrispondente di danno epatico. Nella fase precoce dei primi 10-15 anni di infezione, i Pazienti sono sieropositivi per HBeAg (antigene del virus Epatite B) e, salvo rare eccezioni, sono esclusi dalla terapia poiché ritenuti soggetti in fase di tolleranza immunologica. Questi soggetti spesso hanno normali valori di transaminasi ed il trattamento antivirale non supportato dall’immunità anti-fegato virus specifica, è destinato a fallire. Quando i Pazienti spontaneamente riaccendono un’attività immunitaria contro il fegato infetto (fase HBeAg sieronegativa con transaminasi elevate), il trattamento antivirale diventa clinicamente efficace. Il trattamento non viene erogato a quei Pazienti HBeAg sieronegativi con replicazione virale spenta e transaminasi nella norma, i cosiddetti “portatori di infezione inattiva”.


I candidati ideali ad una cura

In linea di principio i Pazienti idonei a ricevere la cura antivirale, che per essere efficace deve essere somministrata senza soluzione di continuità, devono avere livelli di HBVDNA sierico superiore a 2.000 UI/ ml, ovvero presentare uno stato di infezione attivo; nel caso di Pazienti con Cirrosi, si procede comunque al trattamento, anche in assenza di livelli sierici misurabili di HBVDNA. L’interferone, che un tempo rappresentava l’unica cura per l’Epatite B cronica, faticosa e talvolta tossica per l’organismo, può essere ancora considerato un’opzione valida in selezionati Pazienti giovani con Epatite recente ed istologicamente attiva, mentre è sconsigliato per ragioni di sicurezza nei Pazienti con Cirrosi.

Terapia continuativa

La totale guarigione dall’infezione (guarigione sterilizzante), cioè la scomparsa di HBsAg sierico e la completa eliminazione di tutte le cellule epatiche infette, purtroppo non è possibile con le attuali cure. Nella maggior parte dei casi (95%), invece siamo capaci di produrre una “guarigione funzionale” cioè la soppressione permanente della replicazione virale e il miglioramento del danno epatico per tutto il tempo in cui il Paziente assume i farmaci antivirali. Per questo motivo, la cura antivirale dell’Epatite B deve essere somministrata continuativamente. Nei Pazienti adulti HBeAg sieropositivi, rari tra i nativi italiani ma piuttosto frequenti nelle etnie immigrate, la cura antivirale può indurre lo sviluppo di anticorpi anti-HBe e sopprimere la malattia epatica al punto da poter sospendere in sicurezza la terapia sei mesi dopo aver raggiunto questi obbiettivi di cura. Lo stesso vale per quei Pazienti HBeAg positivi o anti-HBe positivi che con la cura, diventano HBsAg sieronegativi, e questo è ancor più vero per quei pochi che diventano anti-HBs sieropositivi e non sono cirrotici. Nei soggetti con Cirrosi, infatti, la cura antivirale deve proseguire all’infinito, anche dopo la sieroconversione anti-HBe, e può essere sospesa solo nei rari casi di sieroconversione anti-HBs. Questa cautela è necessaria per evitare recrudescenze potenzialmente fatali dell’Epatite B dopo interruzione dei farmaci.

La soppressione permanente del virus si accompagna sempre a significativi benefici clinici in quanto blocca la deposizione di tessuto fibroso nel fegato e previene la formazione di Cirrosi, mentre nei Pazienti cirrotici previene lo scompenso clinico (Ittero, Ascite) e nei Pazienti scompenso, determina ricompensazione clinica, riducendo il rischio di morte e la necessità di ricorrere al trapianto di fegato. Nonostante questi clamorosi benefici clinici, la cura antivirale non elimina il rischio di sviluppo di Epatocarcinoma, che rimane particolarmente significativo (1,5% casi l’anno) nei Pazienti di sesso maschile con Cirrosi. Per questo motivo, tutti i Pazienti cirrotici in terapia antivirale vengono sottoposti a sorveglianza con una ecografia del fegato ogni sei mesi, anche qualora diventino HBsAg sieronegativi.

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