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Cambiamenti climatici, quali ripercussioni

Autore: Prof. Paolo Ranalli

Il mutamento delle condizioni fisiche ambientali porta a valorizzare la capacità naturale di adattamento delle piante, tutelando la produzione agricola e le eccellenze alimentari 

Come è noto, le piante di un certo luogo vivono in equilibrio dinamico con le condizioni fisiche dell’atmosfera (temperatura, umidità, quantità di luce, di ossigeno e anidride carbonica disponibili) e le componenti vitali del suolo (microrganismi e fauna terrestre) che caratterizzano il luogo medesimo. Ciò è conosciuto con il nome di “ecosistema”.
Le variazioni climatiche modificano, prima di tutto, le interazioni tra le diverse forme di vita dell’ecosistema, come ad esempio le relazioni piante/insetti, piante/ funghi, piante/piante infestanti. La modifica del rapporto pianta/insetto, ad esempio, potrebbe cambiare l’incidenza delle virosi, ossia malattie trasmesse alle piante sane da insetti vettori, dopo l’acquisizione di particelle virali da una pianta infetta. Allo stesso modo, la variazione temporale dello stadio della fioritura porterebbe alla perdita della sincronizzazione tra pianta e impollinatori. Così come, l’accelerazione dello sviluppo della pianta, che si verifica per l’aumento delle ondate di calore, riduce i tempi utili alla sintesi dei carboidrati e al loro trasferimento negli organi di accumulo, con conseguente calo della produzione.

Quale adattamento?

Le piante possono rispondere a tali variazioni adattandosi alle nuove condizioni in virtù della loro capacità di modificare l’habitus vegetativo in relazione a differenti condizioni oppure migrando in località più favorevoli alla loro sopravvivenza. È bene rilevare che esse hanno sviluppato strategie di resilienza al danno e di adattamento; addirittura sono capaci di rinunciare ad una “parte del loro corpo” nel caso venissero brucate da un animale, bruciate dal fuoco o sommerse dall’acqua, riuscendo perciò a sopravvivere e tornare a crescere rigogliose.
Le catastrofi di Hiroshima e Cernobyl non hanno impedito alla natura di sorprenderci, riprendendo a germogliare velocemente. Ancora, se sono in una foresta fitta, le piante tendono a crescere in altezza per cercare la luce; se sono in un terreno asciutto, sviluppano le radici in verticale per cercare l’acqua in profondità.
Possono verificarsi, però, cambiamenti radicali persistenti, non transitori, negli habitat per cause diverse, quasi tutte riconducibili agli effetti del cambiamento climatico: temperature estreme che si ripetono in ogni stagione; bombe d’acqua, grandinate e venti forti frequenti, invasione di parassiti alieni. Tali eventi provocano danni alle piante di quell’areale colturale e ai loro organi riproduttivi (gemme, fiori, frutti), pregiudicandone la sopravvivenza o mortificandone le potenzialità produttive.

Migrazioni delle piante

In un mondo sempre più caldo e con eventi meteorici estremi, le piante se non riescono ad adattarsi, scappano! Dove? Spostandosi progressivamente verso latitudini più a Nord, per esempio verso località a quote più alte, dove trovano un clima più favorevole alla loro sopravvivenza. Così, per proteggersi dalle conseguenze del riscaldamento, negli ultimi anni le piante della regione alpina sono migrate più in alto di circa 200 metri. Allo stesso modo, la coltivazione dell’olivo in Italia è arrivata a ridosso delle Alpi, nella Pianura Padana si coltiva oggi circa la metà della produzione nazionale di pomodoro destinato a conserve e di grano duro per la pasta, colture tipicamente mediterranee, mentre i vigneti sono arrivati addirittura sulle vette alpine e si spostano verso il Nord Europa. Mentre al sud è boom per le coltivazioni tropicali, dall’avocado al mango, fino alle banane. Tale situazione si può connotare con l’aforisma “Olivo sulle Alpi, avocado sull’Etna e champagne in Inghilterra”. Pazzie del surriscaldamento! Per lo stesso motivo, viene resa più difficoltosa la stagionatura dei salumi e dei formaggi, come anche l’invecchiamento dei vini: in una parola, sono messi in serio pericolo i prodotti tipici italiani.

Difesa del nostro stile alimentare

Le proiezioni relative ai cambiamenti climatici in Europa indicano che il rischio di desertificazione è in aumento. Zone calde semidesertiche esistono già nell’Europa meridionale, dove il clima si sta trasformando da temperato a secco. Il fenomeno si sta estendendo al settentrione. Una sola cosa è certa: senza il nostro aiuto le piante stavolta non possono farcela. E senza di loro non possiamo farcela neppure noi. Per la tutela delle specie vegetali alla base della nostra Dieta mediterranea e che concorrono alla sicurezza alimentare (filiere dei cereali, dei legumi, delle ortive, dell’olivo e della vite), occorre innovare e porre in essere strategie di ricerca per ottenere cultivar resilienti ai cambiamenti del clima.


Le piante per un pianeta che cambia

L’urgenza di disporre di piante che riescano a vivere e a produrre bene nei nuovi contesti colturali ha portato al recupero di varietà locali/antiche (ecotipi) ben adattate a crescere in condizioni difficili e fonte di caratteri utili, nonché alla costituzione de-novo di varietà con specifici tratti di resistenza/tolleranza a basse temperature, gelate, carenze di acqua, anossia, salinità del suolo, infezioni parassitarie (causate dall’invasione di insetti e organismi alieni portati nelle campagne dalla globalizzazione degli scambi commerciali, oltre che dalle variazioni del clima) e più ricche di sostanze nutritive.
Il miglioramento genetico è classicamente basato su cicli di incroci tra genitori che, singolarmente, possiedono i caratteri utili che si desidera siano presenti nella nuova varietà; la selezione nelle generazioni segreganti, infatti, consente di individuare le piante che ricombinano i caratteri positivi di entrambi i genitori. La selezione assistita da marcatori molecolari aiuta a fare uno screening precoce e accelera i tempi della selezione.
Le biotecnologie di seconda generazione hanno aperto nuove prospettive essendo in grado di modificare geni di caratteri utili senza l’inserimento di DNA estraneo.

Perdiamo le eccellenze nazionali?

Niente affatto. Infatti, se parliamo di sapori o caratteristiche di pregio presenti in determinate varietà antiche, Mendel insegna che un carattere, quindi anche un sapore, può essere trasferito da una varietà ad un’altra: quindi, se consumatori fidelizzati chiedono di riavere un determinato sapore “antico” si può fare una varietà moderna con il sapore antico. Esattamente come la Fiat 500 di oggi: una macchina moderna che ha conservato l’estetica e la carrozzeria del modello originario, però con motore elettrico o, comunque, un motore a minore consumo di carburante e minori emissioni di CO2.

Epigenetica: una nuova risorsa

Le stagioni di crescita, sempre meno prevedibili, spingono a valorizzare la capacità naturale delle piante di attivare o disattivare rapidamente determinati geni in risposta ad eventi di stress. Come appena visto, i Centri di ricerca utilizzano incroci e selezione per creare varietà moderne che possono prosperare in condizioni di crescita difficili. Spesso si adotta un compromesso tra l’obiettivo di sfruttare il massimo potenziale di resa e quello di garantire la sua stabilità in ambienti avversi. Per esempio, è possibile coltivare una varietà molto tollerante alla siccità, ma in un anno in cui non vi è alcuna siccità, questa varietà potrebbe produrre molto meno. Per raggiungere una stabilità di performance, ultimamente ci si è interessati al ruolo che meccanismi epigenetici (processi biologici che attivano o disattivano i geni) possono svolgere in questo equilibrio dinamico tra potenziale di resa e stabilità di resa. Se i coltivatori potessero migliorare la capacità delle piante “premendo un interruttore” quando le condizioni ambientali cambiano, questo consentirebbe, ad esempio, di attivare cambiamenti fisiologici che aumentano la tolleranza alla siccità solo quando necessario, evitando di interferire sulla produttività della pianta in ambienti ottimali. Come è noto, l’epigenetica studia come modificare le informazioni codificate da un gene senza cambiare la sequenza del DNA, ma alterando la trascrizione oppure la traduzione del messaggio contenuto nel gene medesimo.

I filoni di studio

Le ricerche attualmente sono indirizzate a identificare e caratterizzare i geni che controllano importanti caratteri di piante di interesse agricolo (principalmente, vite e melo) che sono epigeneticamente repressi da alcuni procedimenti chimici che hanno luogo sugli istoni (proteine che rivestono le eliche del DNA nel cromosoma) o sulla catena di DNA da minuscole molecole di RNA, in risposta a situazioni di stress (funghi, batteri, insetti) e condizioni ambientali negative (freddo e siccità).
Quindi, in alternativa all’uso di presidi chimici, viene proposto un nuovo tipo di prodotto fitosanitario basato sull’azione di piccoli RNA interferenti, questi interferiscono con l’espressione di specifici geni, degradando l’RNA messaggero (mRNA) dopo la trascrizione del DNA, in modo tale da non far avvenire la traduzione in proteina del messaggio contenuto nel gene medesimo.
I progressi tecnici raggiunti nell’uso di siRNA permettono la preparazione di formulati con ottime caratteristiche di efficacia, stabilità e persistenza nella pianta ospite: è realistico considerare, quindi, l’utilizzo di siRNA come “biopesticida” applicabile come spray fogliare, concia dei semi o direttamente nel suolo, con elevata specificità e biosicurezza rispetto ad alcuni prodotti chimici o strategie alternative di biocontrollo.

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