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Inappetenza nei bambini

Autore: Dott. Tiziano Dall’OssoMelissa Gullotta

La temporanea perdita di appetito nel bambino, se non accompagnata da altri segnali, non deve essere motivo di eccessiva preoccupazione 

Il bambino che non mangia è una delle situazioni che maggiormente creano ansia nei genitori ed è un “classico” nell’ambito delle problematiche che il Pediatra di famiglia incontra nell’ambulatorio. Quando i genitori o i nonni vedono il bambino aprire la bocca e inghiottire avidamente la sua pappa, hanno la certezza che la creatura sta bene. Tuttavia non sempre tutto procede in questo modo: crescendo, quel bambino che aveva mostrato tanta voglia di assecondare l’affetto materno, somministrato sotto forma di alimento, inizia a dimostrare insofferenza per quel gesto, chiude le labbra, sputa il cibo, scuote la testa come infastidito, e in quel momento sorge nella mente di chi si occupa di lui l’atroce dubbio: il bambino non sta bene? È inappetente, avrà bisogno di ricostituenti?

Il ruolo del Pediatra

Arriva quindi il momento in cui, con a fianco la mamma accigliata, il Medico posa dolcemente il bambino sulla bilancia per verificarne la crescita. È un momento delicato, che il Pediatra non può e non deve sottovalutare, deve abbandonare i dettami della Medicina basata sull’evidenza, del nozionismo scientifico e assumere un atteggiamento di accoglienza e di ascolto e convincere i genitori allarmati, di alcuni concetti, forse scontati per il Medico, ma di grande conforto per i familiari del bambino. La svogliatezza nel mangiare raramente nasconde una patologia e, quando invece può essere un campanello di allarme, è accompagnata da altri segnali che il Pediatra è in grado di intercettare proprio nel momento del colloquio con i genitori. Il bambino che non gioca, che vuole sempre stare seduto, che non partecipa (come aveva sempre fatto) alle attività proposte dai familiari o dalle educatrici del nido o della scuola, è certamente da tenere sotto osservazione; quando invece è un furetto che passa da un gioco ad un altro, salta sulle sedie e aggredisce il divano come fosse una roccia da scalare, possiamo stare tranquilli che la presunta Inappetenza non è foriera di guai!

Quando il cibo non è una priorità

Proviamo a immaginare cosa pensano i bambini, anche quelli più piccoli, diciamo dopo l’anno di vita, quando in casa iniziano le schermaglie sull’argomento pappa. Quali sono le loro priorità, i loro desideri? Al primo posto sicuramente il gioco, al secondo le coccole, al terzo avere l’attenzione della mamma. La pappa non è in una posizione di classifica che si può definire alta; per loro, a dir la verità, è proprio una perdita di tempo! Cominciamo a scrollarci di dosso qualche senso di colpa: non siamo noi che non sappiamo cucinare. La qualità del cibo non influisce sul risultato, a riprova di ciò vi invito ad assaggiare un latte artificiale qualsiasi che beve tranquillamente il neonato: è veramente ignobile, ricorda l’olio di ricino che qualche nonno ha assaggiato ai suoi tempi! Il problema è semplicemente che i bambini non hanno tempo da perdere in cose che non hanno per loro interesse.


Come comportarsi

Cosa fare quando il bambino rifiuta il cibo? Vediamo alcuni semplici consigli per invogliarlo a mangiare:

  • rendere il momento del pasto accattivante: senza dover approntare spettacoli di cabaret, ciascun genitore saprà quali sono le cose che attirano l’attenzione dei propri figli e le userà per lo scopo finale;
  • non avere aspettative sul momento del pasto: sia in termini di quantità (spesso pensiamo che loro debbano mangiare porzioni che invece si rivelano esagerate), sia in termini di tempo (i minuti a disposizione non possono essere tanti perché dopo un po’ il bambino vuole tornare a giocare oppure è stanco;
  • non insistere: quando il bambino comincia a dire “no”, il tempo per il pasto sta per scadere e non è conveniente insistere troppo, perché il rifiuto sarà ancora più categorico;
  • il rispetto delle regole: i nostri figli hanno bisogno di regole, di essere guidati, di avere insomma un punto di riferimento; non possiamo pensare, pur rispettando le loro esigenze, che a uno o due anni siano già in grado di prendere decisioni consapevoli e, parlando di alimentazione, siamo noi genitori che dobbiamo dettare i tempi e far capire loro quando si mangia e quando si gioca;
  • autonomia nel mangiare: è importante che, nel momento in cui il piccolo è in grado di portare il cibo alla bocca, lo possa fare in totale autonomia, senza timore che si sporchi o faccia cadere parte del cibo in terra; mentre lui si diverte, noi provvederemo a imboccarlo in maniera più efficace.

Il bambino cresce

Passati i primi anni di vita, nei quali le difficoltà legate all’alimentazione erano quelle sopra elencate, sorgono altre problematiche il cui tema di fondo è però sempre lo stesso: il cosiddetto “piacere della tavola” è ancora lontano dal realizzarsi e il momento del pasto rimane conflittuale. Davanti al piatto fumante, i bambini più grandicelli incrociano le braccine e, con lo sguardo imbronciato, usano il termine che più amano: “no”. Anche qui, quando il gesto si ripete e diventa abituale, un passaggio dal Pediatra diventa obbligato. Sarà anemico, oppure celiaco? Possiamo dargli delle vitamine? È importante non alzare un muro davanti a queste richieste, il Medico deve saper ascoltare e dare messaggi chiari, semplici ma efficaci. Per fare questo, sarà utile partire dalla misurazione del bambino e valutare i dati anche sulla base delle caratteristiche somatiche dei genitori, per non alimentare false aspettative. Se i parametri di crescita rispettano i percentili attesi per l’età, dobbiamo convincere i genitori che non è utile per nessuno fare accertamenti (invasivi) che non porteranno da nessuna parte.

Il momento del pasto

È inoltre compito del Pediatra analizzare quali sono le abitudini della famiglia, in riferimento ai momenti del pasto, ed eventualmente dare alcune indicazioni a riguardo, Innanzitutto è importante favorire la convivialità, infatti, mangiare tutti insieme, possibilmente a televisore spento, sarà utile per creare un momento di condivisione che potrà interessare anche il bambino. Dopo i 3-4 anni di età sarebbe inoltre opportuno coinvolgere i figli, sia nella definizione del menù, che nella preparazione dei pasti, assaggiando i cibi e apparecchiando la tavola insieme. Quando possibile permettere loro di mangiare alla mensa scolastica: consumare il pasto con i loro pari permette di superare eventuali difficoltà ad accettare cibi nuovi e li distrae, facendo prevalere le dinamiche dello stare in gruppo. Il rispetto delle regole a cui accennavo prima, sarà ancora più importante mano a mano che il bambino diventa grande. In conclusione, l’Inappetenza può essere un problema percepito come tale dai genitori, è pertanto compito del Pediatra intercettare questo disagio e affrontarlo senza pregiudizi, dando informazioni chiare e consigli utili, prima che il disagio si trasformi, per i genitori, in vera e propria ossessione.

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