Il 2019 è un anno importante per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) perché proprio 150 anni fa, nel 1869, per la prima volta il Neurologo Jean-Martin Charcot la identificò e la descrisse sia dal punto di vista clinico sia da quello patologico. Il nome con cui oggi la conosciamo, Sclerosi Laterale Amiotrofica, venne però coniato da Charcot solo cinque anni dopo, nel 1874. É questa pertanto un’occasione importante per fare il punto su dove si è arrivati nella ricerca delle cause e delle terapie.
Malattia che danneggia le funzioni motorie
La SLA è una malattia neurodegenerativa caratteristica dell’età adulta, a decorso progressivo e invalidante. La SLA porta generalmente alla morte entro 3-5 anni, di solito per l’insorgenza di Insufficienza respiratoria. Tradizionalmente la SLA è stata considerata una malattia che danneggia le funzioni motorie, causando una compromissione dei motoneuroni spinali (posti nel midollo spinale e deputati all’innervazione dei muscoli volontari degli arti e della respirazione), dei motoneuroni bulbari (deputati all’innervazione dei muscoli della deglutizione e della fonazione) e dei motoneuroni corticali (posti a livello della corteccia cerebrale, che controllano il movimento). Il danno di questo sistema motorio determina un complesso di segni e sintomi, dominati da atrofia muscolare, perdita di forza e, contemporaneamente, aumento del tono muscolare (spasticità) che rende impacciati i movimenti, soprattutto a livello degli arti inferiori.
Possibili disturbi cognitivi
Tuttavia, da circa 20 anni, i Medici e i Ricercatori che si occupano di SLA hanno identificato che, accanto al disturbo motorio, in almeno il 50% dei Pazienti con SLA è anche presente un disturbo delle funzioni cognitive, caratterizzato da apatia, riduzione della consapevolezza di malattia e problemi comportamentali. I disturbi cognitivi nella SLA hanno un rilevante impatto negativo sia sulla prognosi che sulla capacità del Paziente di utilizzare in modo adeguato le tecnologie di supporto ventilatorio, come la ventilazione non invasiva, e nutrizionale, come la nutrizione enterale. Inoltre, i disturbi cognitivi comportano un carico psicologico aggiuntivo per la famiglia dei Pazienti, che devono gestire l’impatto delle modificazioni comportamentali del loro caro. In relazione al fatto che i Pazienti con SLA possono presentare disturbi cognitivi, la ricerca degli ultimi anni ha portato a scoprire che i familiari di primo e secondo grado dei Pazienti con SLA hanno una maggiore frequenza di disturbi cognitivi e/o mentali rispetto alla popolazione generale, inclusi i disturbi di tipo psicotico (come la Schizofrenia). Tale correlazione è ancora in parte da chiarire, ma ha probabilmente basi genetiche.
L’incidenza è destinata ad aumentare...
La SLA è considerata una malattia rara, poiché ha una prevalenza (numero di Pazienti esistenti in uno specifico momento) di circa 10-12 persone su 100.000 abitanti.
Un recente studio ha però stimato che l’incidenza (numero di nuove diagnosi all’anno) della SLA è destinata ad aumentare in tutto il mondo, in particolare nei Paesi meno sviluppati, nel corso dei prossimi due decenni.
In particolare per l’Italia si stima che vi sarà un aumento di circa il 30% entro il 2040. Tale incremento è almeno in parte da imputare all’aumento dell’aspettativa di vita della popolazione generale, e ciò perché la SLA presenta la sua massima incidenza nelle persone di età superiore a 60 anni. Tuttavia, vi sono anche indicazioni che l’aumento di incidenza della SLA sia correlato a fattori ambientali, in particolare a carico del sesso femminile. Questo aumento di frequenza della SLA nelle donne sta portando progressivamente a colmare la differenza di frequenza fra i due sessi, essendo storicamente la SLA più comune nei maschi.
Le cause genetiche della SLA
Attualmente la ricerca sulle cause della SLA indica che si tratta di una malattia di tipo multifattoriale, a cui contribuiscono fattori sia genetici sia ambientali. Si stima che la componente genetica contribuisca per circa il 60%, e che sia rappresentata sia da geni che causano direttamente la malattia sia da geni che costituiscono un semplice fattore di rischio. Sono attualmente noti circa 30 geni che causano direttamente la SLA, quattro dei quali (C9ORF72, SOD1, TARDBP e FUS) causano circa i due terzi di tutti i casi con chiara trasmissione familiare. Tuttavia, la frequenza dei casi a trasmissione familiare diretta non supera il 15% di tutti i Pazienti affetti da SLA, ed è in genere più elevata nelle persone con età di esordio inferiore ai 60 anni. Sono noti anche diversi geni che aumentano il rischio di sviluppare la SLA o che ne modificano alcune caratteristiche cliniche quali l’età di esordio e la velocità di progressione.
Quali progressi?
L’area della ricerca genetica ha avuto negli ultimi anni un importante sviluppo, legato a due fattori: il rapidissimo miglioramento delle tecnologie di sequenziamento che è andato in parallelo con la riduzione dei costi (oggi per sequenziare l’intero genoma di una persona occorrono meno di 1.000 euro a fronte dei milioni di euro di poco più di un decennio fa); la formazione di Consorzi scientifici internazionali, che hanno condiviso i risultati delle loro ricerche, permettendo di raccogliere i dati clinici e genetici di migliaia di Pazienti e di decine di migliaia di soggetti di controllo. Si può citare a questo proposito il Consorzio MINE, a cui aderiscono Ricercatori di oltre 30 Paesi del mondo, e che sta producendo risultati di estrema importanza per la conoscenza della malattia.
I Consorzi collaborativi scientifici si basano sulla condivisione dei database di Centri specializzati per la SLA, che sono in grado di fornire informazioni cliniche di altissima qualità e standardizzate. I dati clinici e genetici, resi ovviamente anonimi, vengono conservati in banche dati protette, che devono rispettare strettamente i regolamenti europei ed americani relativi alla privacy.
Biobanche al servizio della ricerca
Analogamente, si è sviluppato un processo di condivisione di materiali biologici (ad esempio: plasma, cellule del sangue, urine e liquor), attraverso sistemi di Biobanche virtuali, collegate fra loro con sistemi informatici protetti, che permettono ai diversi laboratori di dialogare e condividere il materiale, e che non necessitano il dispendioso e spesso complesso invio dei materiali biologici se non in presenza di specifici progetti di ricerca.
Il materiale afferente a tali Biobanche virtuali è messo a disposizione dei Ricercatori di tutto il mondo, che possono accedervi presentando i propri progetti di ricerca. Esistono oggi diverse Biobanche virtuali che coinvolgono Centri di diversi Paesi europei e del nord America.
I fattori di rischio ambientali
La ricerca sulle cause ambientali della SLA è attualmente meno avanzata di quella genetica, anche se anche in questo ambito sono in corso importanti sforzi internazionali per la raccolta di informazioni di elevata qualità. Uno dei più importanti progetti in tal senso, EURO-MOTOR, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito dei progetti FP7, ha raccolto informazioni su circa 300 variabili ambientali, quali la storia lavorativa, alimentare, sportiva, personale e familiare in oltre 1700 casi e 3000 controlli in Italia, Irlanda e Paesi Bassi fra il 2011 e il 2015. Il Consorzio di ricerca sta ora procedendo all’analisi dei dati raccolti ed ha già prodotto informazioni estremamente interessanti sui fattori di rischio ambientali, come la conferma che l’attività fisica e quella sportiva intensa aumentano il rischio di SLA, e che anche il fumo di sigaretta è un fattore di rischio per la malattia. I dati ambientali raccolti saranno successivamente analizzati in relazione alla genetica dei Pazienti, per identificare le già citate interazioni fra genetica e ambiente.
La terapia
Ovviamente tutti questi sforzi della ricerca hanno l’obiettivo primario di giungere ad una terapia della malattia. Purtroppo, attualmente disponiamo di due soli farmaci che sono in grado di rallentare modestamente la velocità della malattia. Il riluzolo, che è stato introdotto in commercio nel 1996, agisce come inibitore della tossicità da glutammato, e determina un aumento della sopravvivenza di circa il 10%.
Il secondo farmaco, l’edaravone, è disponibile da circa un anno in Italia e agisce come antiossidante, riducendo di circa il 20% la velocità di perdita della funzione motoria. Va però detto che gli studi finora prodotti sull’edaravone indicano che tale farmaco è efficace solo in un sottogruppo di Pazienti, con specifiche caratteristiche cliniche. Pertanto in Italia può essere prescritto esclusivamente ai Pazienti che soddisfano tali requisiti.
La ricerca di nuovi farmaci
Al di là di queste due molecole, la ricerca di nuovi farmaci è molto attiva. Vi sono attualmente almeno tre farmaci per i quali sono in corso studi di fase III, cioè che hanno già dimostrato un’efficacia in studi di piccole dimensioni (fase II), oltre a farmaci per i quali si stanno eseguendo studi di fase II.
Sono anche in corso piccoli studi su trattamenti non farmacologici, come le cellule staminali neurali e mesenchimali, la cui efficacia non è però ancora dimostrata nella SLA.
In conclusione, il centocinquantenario della scoperta della SLA si apre con motivi di grande speranza perché la terapia di questa grave malattia possa rappresentare un traguardo non troppo lontano.