Virus, batteri, microrganismi patogeni in genere, inquinanti e allergeni: sono un piccolo esempio di attacchi provenienti dall’ambiente esterno che quotidianamente bersagliano il nostro organismo, nel tentativo di corromperne le difese e contaminare il nostro stato di salute. A questi si uniscono poi altre minacce endogene, che provengono cioè dal nostro stesso organismo. Eppure quest’ultimo è “resiliente”, cioè resiste ad ogni potenziale miccia che vuole accendere una infezione, virale o batterica, una malattia di carattere generale e/o a larga diffusione come una Influenza stagionale o patologie più importanti, quali un Tumore, cui la ricerca più recente ha attribuito anche una componente di origine virale. Il nostro organismo in una altissima percentuale di casi è in grado di contrastare questo insieme di rischi perché è dotato di uno scudiero di eccezione: il sistema immunitario.
Sistema immunitario e Immunoterapia
Come anticipato, sappiamo che ogni giorno il nostro sistema immunitario elimina cellule in maniera “selettiva” e questa capacità rappresenta un punto di forza importante in ambito oncologico. Infatti fra le miriadi di cellule presenti nell’organismo, con un lavoro da “metal detector”, il sistema immunitario sceglie ed elimina quelle con mutazioni potenzialmente dannose, nello specifico cancerogene, bloccando sul nascere la possibile formazione di nuovi Tumori.
Se tuttavia queste cellule riescono a superare questo primo fronte di difesa, le successive risposte dell’organismo diventano via via meno efficaci, fino al punto in cui le cellule tumorali, per svariate ragioni e meccanismi non ancora del tutto noti, non saranno più riconosciute dalle difese immunitarie. Il Cancro ha così via libera per poter progredire e manifestarsi clinicamente come vera e propria malattia.
La ricerca più recente, soprattutto degli ultimi decenni, si è dunque orientata allo studio dei meccanismi molecolari alla base di questo fenomeno, scoprendo ad esempio che il Tumore riesce a sfuggire agli attacchi in difesa del sistema immunitario, ma anche a fagocitarne a proprio vantaggio alcune componenti, progredendo nella sua evoluzione. E qui si inserisce l’Immunoterapia: il nome chiarisce di che cosa si tratta. Parliamo di terapie, alcune sperimentali ed altre già approvate, che puntano al sistema immunitario (immuno), appunto Immunoterapia, più specificamente sono trattamenti che “rieducano” il sistema immunitario; lo allenano cioè a riconoscere, tra le tante, le cellule tumorali, o in fase di trasformazione, e ad eliminarle efficacemente, tenendo sotto controllo le altre.
L’Immunoterapia funziona
È la risposta che qualunque persona in cura per un Tumore vorrebbe sentirsi dire: l’Immunoterapia funziona (meglio) perché, diversamente dalle altre terapie oncologiche, non agisce direttamente sul Tumore, ma sui meccanismi di difesa messi in atto contro di lui. Più semplicemente l’Immunoterapia va a colpire la causa a monte, quindi le probabilità di successo terapeutico aumentano. Dico “probabilità” poiché non è una regola che vale per tutti; studi di letteratura evidenziano che questi nuovi farmaci, prevalentemente alcuni anticorpi monoclonali, danno buoni risultati in termini di risposta clinica, stabilizzando quindi la malattia o favorendo la regressione parziale e/o totale del Tumore, in circa il 50% dei Pazienti, con maggiore efficacia per alcune tipologie, quali il Tumore al seno. Quest’ultimo oggi può avvalersi di alcuni trattamenti immunoterapici, come gli inibitori dei checkpoint immunitari, tra cui nivolumab e pembrolizumab, cioè anticorpi monoclonali immunomodulatori, che tolgono il freno all’attivazione dei linfociti T (particolari globuli bianchi che hanno un ruolo nell’insorgenza del Tumore) ed aumentano l’immunità antitumorale dell’ospite. È importante che questi famaci puntino ai linfociti-T helper, questi infatti potenziano la risposta immunitaria, grazie alla capacità di riconoscere la presenza di un antigene estraneo. A questo punto si attiva una iper-produzione di anticorpi e citochine (molecole proteiche prodotte da vari tipi di cellule) che, a loro volta, rendono attivi altri linfociti-T. Con lo stesso principio lavorano anche le Terapie CAR-T, così definite perché si basano sulla raccolta e l’utilizzo dei linfociti T, successivamente modificati in laboratorio affinché esprimano sulla propria membrana la molecola CAR, cioè un recettore chimerico dell’antigene, dall’inglese “Chimeric Antigen Receptor”, una molecola ibrida sintetica (che non esiste in natura), composta da una porzione in grado di riconoscere e legare un determinato antigene sulle cellule tumorali, promuovendone la distruzione. L’Immunoterapia è risultata efficace anche per altri Tumori solidi, come il Melanoma, i Tumori urogenitali, del rene o del polmone.
Un aspetto “individualizzante”
Lo ribadisco: l’Immunoterapia funziona, e funziona bene in termini di aumento della sopravvivenza, ad esempio in Pazienti in terapia con inibitori dei checkpoint immunitari per neoplasie in fase avanzata, quali Melanoma e Tumore del polmone o rene, si è osservato un aumento della sopravvivenza raddoppiato o triplicato a lungo termine e della qualità di vita, indipendentemente dalla tipologia di Tumore. Tuttavia, in questo dato molto positivo, c’è un ma: questi farmaci sembrano dare migliore risposta terapeutica nell’uomo rispetto alla donna, quindi l’Immunoterapia può essere influenzata dal genere, dal sesso maschile o femminile del Paziente cui viene somministrata. Come siamo arrivati a questa considerazione? Abbiamo analizzato i dati di più di 11.000 Pazienti trattati con Immunoterapia all’interno di 20 diversi studi clinici. I risultati, pubblicati in un lavoro scientifico su una rivista internazionale (Lancet Oncology), mostrano un beneficio nelle donne in termini di miglioramento della sopravvivenza, di circa la metà inferiori rispetto a quelli ottenuti nell’uomo. Questa grande differenza condizionata dal genere, e rilevata per la prima volta da questo nostro studio, un po’ “pioniere” in questa tipologia di indagine e di analisi, è spiegata dal fatto che negli studi clinici condotti negli ultimi 15 anni, le donne sono sotto-rappresentate, costituen do poco più del 30% rispetto al totale dei Pazienti considerati. Tale “minoranza”, che è costante negli anni e nelle diverse patologie tumorali, nasconde o comunque impedisce di cogliere la differente risposta determinata appunto dal genere. C’è poi un altro fattore critico: l’attuale assenza di marcatori e la mancata caratterizzazione dei meccanismi biologici che variano la risposta a seconda del genere.
Possiamo indagare sul tema
Arrivare a definire queste diversità è di fondamentale importanza per diversi motivi: studi preclinici, tra cui anche un nostro lavoro a cui ha partecipato un “network” di altri Centri internazionali (Harvard University di Boston, Cornell University di New York, MD Anderson Cancer Center di Huston) in cui sono stati analizzati i campioni tumorali di più di 2500 Pazienti affetti da Tumore polmonare, suggeriscono che il sistema immunitario dei maschi e delle femmine non solo produce risposte antitumorali qualitativamente e quantitativamente differenti ma anche che i Tumori che insorgono nei due sessi sembrano utilizzare meccanismi di resistenza differenti per sfuggire alla risposta del sistema immunitario. E, dato ancora più importante, l’efficacia dell’Immunoterapia può essere ulteriormente migliorata attraverso nuove strategie immunoterapiche, personalizzate sulla base delle specifiche caratteristiche biologiche delle donne e degli uomini. Ciò significa un maggiore beneficio clinico a fronte di una ridotta tossicità, perché la terapia “misurata” sulle caratteristiche molecolari e biologiche del Paziente consente maggiore tollerabilità, con massimizzazione quindi degli effetti terapeutici. Da questa evidenza, cruciale, è partito uno studio di approfondimento (finanziato da Fondazione Humanitas per la Ricerca) su 30 Pazienti, equamente spartiti tra uomini e donne, affetti da Tumore del polmone (la scelta non è casuale visto che il Tumore del polmone è in aumento anche fra le donne ed è dimostrata una risposta positiva ai trattamenti immunoterapici) che presentano uguali caratteristiche molecolari, con l’intento di ampliare il numero di Pazienti arruolati, se le nostre attese venissero confermate da risultati preliminari. Quali i nostri obiettivi? Arrivare a identificare i meccanismi biologici che sottendono a questo fenomeno, personalizzare strategie terapeutiche per ciascun diverso sottogruppo di Pazienti, quindi migliorare la prognosi e la sopravvivenza dei Pazienti affetti da Tumore, con particolare attenzione alle donne, che sono tra i sottogruppi maggiormente penalizzati dalla risposta all’Immunoterapia. Si ipotizza che alla base della resistenza alla terapia possa concorrere il diverso assetto ormonale, oltre al diverso funzionamento del sistema immunitario, pertanto fra i nostri obiettivi ci sono la comprensione del ruolo degli ormoni e il possibile differente impatto generato nelle diverse fasce di età della donna, pre o post menopausale, e la definizione di altre indicazioni caratterizzanti. Risposte che consentiranno approcci terapeutici più specifici, ad esempio la somministrazione di trattamenti immunoterapici in maniera contestuale a trattamenti endocrini ormonali in Pazienti di entrambi i sessi, in accordo ad età e stato menopausale nelle donne.
La buona notizia
Voglio tranquillizzare le donne, queste “variabilità” non significano che l’Immunoterapia nel sesso femminile non funzioni, funziona comunque bene e garantisce una risposta di efficacia superiore alla Chemioterapia (per questo laddove possibile la si preferisce oggi a terapie più tradizionali). Tuttavia sarà importante che ricerche e sperimentazioni attuali e del futuro tengano conto del fattore “genere” come elemento cruciale su cui strutturare approcci terapeutici mirati.