Psicomotricità, il movimento come terapia

Autore: Dott.ssa Emanuela Felici

Al centro di questa terapia rivolta ai bambini troviamo il movimento, inteso come espressione di desideri, volontà, bisogni e personalità

Diventare genitori è un’avventura che porta con sé l’entusiasmante necessità di esplorare scenari e orizzonti sempre nuovi. Durante questo meraviglioso viaggio, i genitori in diverse occasioni si imbattono in quella che sembra essere una terra tanto misteriosa quanto sconosciuta: la “Psicomotricità”. Molti genitori ne avranno sicuramente sentito parlare al nido, alla materna o dal Pediatra, magari senza aver capito bene di cosa si tratta. Proviamo allora a scoprire insieme cos’è questa modalità terapeutica.

Che cos’è la Psicomotricità

La Terapia psicomotoria è un intervento riabilitativo che si fonda sulla relazione tra Terapista e bambino ed utilizza il gioco come mezzo privilegiato di interazione e comunicazione. Al centro della terapia troviamo il corpo e il movimento, quest’ultimo inteso come espressione di desideri, comunicazioni, volontà, bisogni e personalità, intriso quindi di affettività e intelligenza. Attraverso l’instaurazione di un’alleanza terapeutica, il Terapista farà leva sul potenziale di salute del bambino e cercherà le strategie migliori per sostenere la sua motivazione e il suo desiderio di cambiamento. Obiettivo della terapia sarà il ridimensionamento dei vissuti patologici al fine di accompagnare il bambino verso l’integrazione delle sue funzioni, verso una progressiva conoscenza di sé e del mondo e verso la capacità di comunicare e relazionarsi con l’ambiente in modo appagante.

Lo sviluppo psicomotorio

Con il termine “sviluppo psicomotorio” si intende un articolato processo attraverso il quale avviene la maturazione (su base biologica e psicologica) e l’organizzazione delle competenze motorie, affettivo-relazionali, linguistiche e cognitivo-neuropsicologiche che, intrecciandosi e influenzandosi reciprocamente, permetteranno al bambino di svilupparsi in modo armonico e di diventare capace di rispondere e adattarsi alle richieste dell’ambiente che lo circonda.
Pur essendo un processo che accompagna l’individuo per l’intero ciclo della vita, assumendo via via sfumature differenti, il periodo psicomotorio vero e proprio viene collocato dagli 0 ai 7-8 anni, ed è massimo nei primi due anni di vita, quando vi è una vera e propria esplosione, in termini quantitativi e qualitativi, delle competenze del bambino.

Percorsi di sviluppo

Possiamo facilmente credere che ciascun bambino, nella sua unicità e irripetibilità, mostrerà un percorso di sviluppo unico con un andamento a tappe che in molti casi si discosta da quello più “classico”; queste “deviazioni” potremmo interpretarle come segnali di difficoltà incontrate nel corso dello sviluppo, che in qualche modo ostacolano e rendono difficoltoso per quel bambino poter procedere in modo armonico e, allo stesso tempo, preoccupano i genitori che si trovano disorientati nell’affrontare la situazione. Se volessimo provare a dare un nome a questi segnali, potremmo parlare, ad esempio, di ritardi e difficoltà sul piano linguistico, difficoltà relazionali e comportamentali, impaccio nel movimento, ritardo nel raggiungimento delle tappe psicomotorie e cognitive, fragilità emotive, difficoltà di socializzazione, fatica a mantenere l’attenzione e a inibire un movimento frenetico.
Gli esempi potrebbero essere ancora numerosi, ma la domanda alla quale ci preme dare risposta è: cosa possono fare i genitori?


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