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Ipertensione e psiche

Autore: Dott.ssa Luisa Merati

Oltre ai fattori di tipo fisico, le persone con pressione arteriosa alta hanno in comune alcune caratteristiche di personalità

I fattori di rischio relativi all’Ipertensione sono assai numerosi e possono esporci alle conseguenze di una malattia, l’Ipertensione, che non fa distinzione di età o di sesso, è più frequente tra gli abitanti delle città che tra quelli delle campagne. Nella maggior parte dei casi non è possibile individuare una causa specifica dell’Ipertensione ed è talora possibile che una predisposizione ereditaria ipertensiva latente sia resa manifesta da fattori di mutamento o da situazioni di stress cronico. Alcuni autori hanno messo in evidenza l’associazione dell’Ipertensione con ansia, tensione nervosa, paura, collera e ostilità.
Va anche ricordato che alcuni fattori nutrizionali (per esempio il sale) giocano indubbiamente un certo ruolo, e che è stata espressa l’opinione che una parte dei casi di Ipertensione fra gli anziani sia da addebitare alle loro difficoltà di adattamento e non solo all’Arteriosclerosi.

La reazione al conflitto

L’ipertensione è un fenomeno che può prodursi nella sperimentazione animale in condizioni di minaccia del territorio o dello spazio sociale. Questo stesso tipo di sperimentazione ha anche mostrato che le situazioni di grande competitività e conflitto possono determinare pressioni arteriose più elevate rispetto alle popolazioni di controllo. In generale è comunque lecito ritenere che l’Ipertensione sia una sorta di “esagerazione” delle normali reazioni di tensione; si manifesti in persone predisposte a reagire in tal modo a conflitti con persone significative, su una base geneticamente determinata o condizionata dall’ambiente; tali individui presentano un’inibizione delle loro tendenze aggressive e per tale motivo si può ritenere che l’Ipertensione sia promossa da situazioni ripetitive di conflitto che richiederebbero la mobilitazione dell’aggressività.
L’Ipertensione maligna risulta fortemente accelerata in situazioni foriere di aggressività (gli studi di Reiser hanno mostrato che una Psicoterapia di sostegno può mutare il decorso della malattia, trasformando l’Ipertensione maligna in benigna).

Aggressività e stress

Diversi studi hanno accertato che la persona ipertesa manca di sicurezza, si sente sempre minacciata, è sempre pronta a difendersi, ma non si permette mai di manifestare quell’aggressività che tuttavia gli sembra necessaria. Vive in una situazione di cronica attesa, impegnato in una lotta costante contro i propri sentimenti ostili e aggressivi e le proprie inibizioni.
Misurando la pressione arteriosa prima e dopo sedute di Terapia di sostegno, Alexander ha constatato che nella stragrande maggioranza dei casi la tensione diminuiva quando il soggetto ne era sollevato e aumentava in presenza di resistenze. Lo stress fisico promuoverebbe una risposta adrenalinica con modificazioni del tracciato ECG (tachicardia, extrasistoli ventricolari, ecc.) e aumento della glicemia, non però della lipidemia.
Al contrario le aggressioni e le situazioni generatrici di reazioni psicoemotive provocherebbero una risposta noradrenalinica che determina una mobilitazione dei lipidi a partire dai tessuti adiposi. In tal modo verrebbe a fornire una base alle teorie che fanno derivare l’Arteriosclerosi e l’Ipertensione dai comportamenti di aggressività, costrizione e competizione che caratterizzano il nostro modo di vivere.
L’aggressività più che l’ansia sembra provocare la massima liberazione di noradrenalina e, di conseguenza, essere lo stato d’animo maggiormente suscettibile di scatenare l’Ipertensione.


 

Personalità e rapporto Medico-Paziente

L’iperteso è caratterizzato da una fortissima inibizione a soddisfare l’una o l’altra delle sue più cospicue tendenze: è incapace di esprimere i propri desideri aggressivi di indipendenza ma, in pari tempo, anche di soddisfare i propri bisogni di dipendenza passiva.
Poichè si sentono vulnerabili, le persone ipertese cercherebbero di evitare i conflitti aggressivi rifiutandosi di prenderne atto: in una situazione sperimentale a un gruppo di normotesi e a un gruppo di ipertesi è stata proiettata una pellicola in cui si vedevano due Medici, uno gradevole e uno sgradevole ed è stato il gruppo degli ipertesi quello che meno ha notato la differenza. Dunque il Paziente rischia di trasferire i propri sentimenti ostili sul Medico, nei confronti del quale nutre la convinzione di doversi difendere, ma non esprime tali sentimenti, bensì li reprime, li nega, rivolgendo contro se stesso tale aggressività; oppure non si reca alla visita fissata, oppure la sua tensione aumenta ed egli somatizza ulteriormente la sua aggressività: per combattere questo pericolo, il Medico deve riconoscere e interpretare le difficoltà relazionali derivanti dal fatto che egli impone al Paziente un certo modo di vita e la regolare assunzione di farmaci.
Wollf rileva che lo sforzo è parte integrante della vita della personalità in questione; nè mancano gli autori che parlano di una “reazione di Sisifo” (Camus riteneva che la pietra con la quale Sisifo compì la sua fatica inutile è la “sua” pietra, sicchè è lecito immaginare Sisifo felice) è dunque necessario che il Medico comprenda che l’efficienza può costituire per questo tipo di persone l’unico piacere.
Una ricerca canadese ha provato che tra gli ipertesi è particolarmente elevata la percentuale di Pazienti che non assumono regolarmente i farmaci prescritti, laddove invece si permetta loro di controllare da soli la propria pressione, evitando così la sensazione di farlo perchè “sottomessi” al Medico, si adeguano più facilmente a tale prescrizione. Nella pratica medica la presa in considerazione dei mutamenti del rapporto Medico-Paziente e l’efficacia di una terapia farmacologica vanno di pari passo.

Percorsi terapeutici

Oltre al rapporto Medico-Paziente e alla terapia farmacologica, può essere opportuno prendere in considerazione altre modalità terapeutiche e tecniche che possono contribuire a prevenire o a contenere il problema. Una di queste è il Rilassamento che può contribuire a diminuire la tensione muscolare, che a sua volta è correlata alla pressione arteriosa. Clinicamente è stato osservato che alcune sedute di Ipnosi prolungate provocano una riduzione dell’ansia e un’attenuazione della risonanza corporea degli affetti.
Deabler e coll. (1973) hanno condotto uno studio comparativo circa l’influenza dell’Ipnosi e del semplice Rilassamento su due gruppi di ipertesi: l’abbassarsi della pressione arteriosa sistolica e diastolica è risultato più importante nel gruppo trattato con l’Ipnosi che in quello sottoposto a semplice Rilassamento. Durante la seduta di Rilassamento è possibile utilizzare la visualizzazione delle arterie e il fatto che la loro rigidità e contrazione provocano un aumento della pressione del sangue. Successivamente vengono visualizzate le arterie mentre vanno ammorbidendosi e divenendo più elastiche consentendo una riduzione della pressione del sangue che scorre al loro interno.
Può anche essere efficace l’apprendimento delle Tecniche di Autoipnosi o di una tecnica simile per i Pazienti che non desiderano la somministrazione di farmaci.
Nell’ambito di sedute di Pscicoterapia, allo scopo di aiutare il Paziente ad esprimere l’aggressività che reprime, è necessario perseguire l’obiettivo di arrivare ad una migliore consapevolezza dei propri sentimenti ed alla loro possibile espressione.
Bisognerà poi proporre l’apprendimento di strategie finalizzate ad evitare situazioni scatenanti reazioni aggressive ed eventualmente cercare di modificare, per quanto possibile, l’ambiente per diminuirne la frequenza.  

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