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Ulcera, dal sintomo alla comprensione

Autore: Dott.ssa Laura Ballanti

In senso figurato l’ulcera equivale a un “insulto”, un’intima esperienza dolorosa carica di risentimento

L’approccio psicosomatico considera l’ulcera gastrica come un’alterazione che riguarda processi sia fisici che psichici. Oltre all’aspetto strettamente medico, è indispensabile infatti comprendere la dimensione d’organo, le sue funzioni e la corrispondente relazione con i significati mentali e psichici.
Gli organi sono contenitori ed in particolare l’apparato digerente ha la funzione di accogliere, assimilare e smistare il cibo, eliminando tutto ciò che non è utile a nutrire l’organismo.
Lo stomaco, che si trova tra l’esofago e il duodeno, la prima parte dell’intestino, è un organo cavo e al suo interno gli alimenti ingeriti subiscono le prime trasformazioni attraverso i succhi gastrici; per digerire è necessario riuscire a trasformare il cibo in qualcosa che nutre e il nutrimento in qualcosa che aiuti a crescere.

Un’esperienza dolorosa

Dal latino “ulcus” in Medicina l’ulcera è definita come “erosione circoscritta dei tessuti di rivestimento esterni o interni che tende a non cicatrizzare, ma ad allargarsi e incavarsi”.
È una lesione profonda dovuta a perdita di sostanza, per un processo patologico di natura fisica (trauma), o chimica (intossicazione), biologica (microrganismi), psichica (stress e conflitti irrisolti).
In senso figurato, una ferita come l’ulcera equivale a un “insulto”, un’intima esperienza dolorosa carica di risentimento. L’ulceroso soffre in modo tormentato: “si rode dentro”.

La lesione organica

L’ulcera gastroduodenale si forma in quelle zone in cui il succo gastrico, secreto sia a digiuno sia durante la digestione, entra in contatto con la mucosa gastrica aggredendola. Qui, lo strato più interno, delicato e elastico di rivestimento protettivo dei contenuti da digerire, si lacera come una pelle che non riesce più a riparare né contenere.
L’ulcera può manifestarsi in forma acuta (insorgenza rapida e sintomatologia severa) e cronica (processo morboso che si mantiene nel tempo con continue recidive).

Cibo significa affetto

Fin dalle primissime fasi della vita, il nutrimento è legato alla possibilità di ricevere e trasformare il cibo. Il legame con la figura di accudimento originario è fondamentale per la sopravvivenza del bambino. Qualunque forma assuma questo legame (stabile e sicuro, oppure ansioso e incerto), resta un’imprinting che soddisfa un bisogno vitale. Pur di mantenere questo legame, il bambino farà di tutto per adattarsi allo stile di accudimento materno. Essere amato vuol dire essere nutrito e il nutrimento dipende dalla capacità di contenimento della relazione. L’affetto che nutre è esso stesso un alimento.   

La frustrazione

Quando il desiderio di ricevere, cioè di essere amati, è respinto o deluso, può regredire a fasi arcaiche della crescita e convertirsi nel desiderio di essere nutriti.
L’esperienza della frustrazione anche da adulti agisce come una ferita profonda che lede la possibilità di riparare-cicatrizzare il dolore.
L’insoddisfazione può “corrodere dentro” in analogia alla ferita dell’ulcera e stimolare l’innervazione dello stomaco. L’organo si trova allora in uno stato continuo di tensione, simile a un’attesa inconsolabile di cibo-amore, con alta probabilità che un tale meccanismo conduca alla formazione di una cavità ulcerosa. 


Dal sintomo alla comprensione

L’ulcera racconta un tentativo regressivo estremo di ritorno al cibo dell’infanzia per sentirlo buono, riattivando inconsci desideri di nostalgia dell’allattamento, quando il nutrimento è stato interiorizzato come frustrante, non capace di sostenere la crescita, la separazione, la propria autonomia. Il sintomo serve a riparare una ferita rimasta aperta.
Secondo Garma, il neonato non distingue sé dall’altro e, introducendo il latte, assimila l’immagine del seno materno, oggetto parziale dell’intera figura della madre, cui attribuisce la responsabilità delle proprie sensazioni corporee anche spiacevoli, così è la mamma che toglie il cibo (fame), che dà cibi cattivi (disturbi intestinali), che “morde da dentro” (dolori gastrici). Una “cattiva madre interiorizzata” che sembra parlare dall’interno, una specie di rigida coscienza carica di divieti, rimorsi e sensi di colpa, è il peso indigesto di un nutrimento intollerante che logora. Non potendo essere accettata, è repressa e proiettata all’esterno (“il mondo ce l’ha con me”).
Nelle fasi evolutive il nutrimento può continuare a condizionare l’esperienza del piacere, impedendo uno sviluppo psicosomatico sano.
La persona con ulcera vede la vita come un pasto, non mastica, ingurgita voracemente.

Bisogni inconsci

I lavori clinici sui fattori emotivi dell’ulcera descrivono caratteristiche generali di identità e un particolare tipo di conflitto.
Per la Dunbar la persona con ulcera aspira a essere autosufficiente. In realtà, dietro ad un’ostentata indipendenza si nasconde un bisogno insoddisfatto di calore e appoggio. Alexander parla di “fame d’affetto” che, indipendentemente dallo stimolo fisiologico normale (il bisogno di cibo), condiziona continuamente lo stomaco come se avesse appena ingerito cibo o si preparasse a ingerirlo.
L’attacco ulceroso insorge quando la tensione interna non è più contenibile: durante i pasti, nelle discussioni accese, in stati d’ira o di bisogno, l’ulceroso accusa una “fitta” come un fuoco improvviso. La vulnerabilità diventa paura degli spazi smisurati, troppo chiusi o troppo aperti (claustroagorafobia): l’ulcera può funzionare come sintomo di copertura di angosce profonde.
I sogni sono incubi, interrotti per l’oppressione delle emozioni incontenibili, indigeste: prigioni, ascensori, tunnel e cunicoli sono ricorrenti, simili alle parti del corpo collegate alla digestione e con riferimento ai passaggi, come alla nascita e all’ingresso nel mondo. 

Dal dolore alla riparazione

La ricerca psicoanalitica più recente sui meccanismi inconsci sottostanti l’ulcera evidenzia il legame tra contenitore e contenuto. Una buona relazione di nutrimento è un’esperienza essenziale per acquisire fiducia e costruire in modo stabile una “pelle-membrana” che assicura la tenuta psichica.
Alcune ferite sono vissute come strappi, vere e proprie lacerazioni interne che nel tempo non trovano riparazione, non si cicatrizzano più, come se avessero perduto definitivamente la potenzialità elastica di rimarginare la tessitura dei sentimenti e delle emozioni.
La riparazione psichica è per l’equilibrio interno l’equivalente della cicatrizzazione dei tessuti per la materia organica. In Psicoterapia è un po’ come riunire i lembi di una ferita. Nella cura vanno riconosciuti e accettati consapevolmente i risvolti psicologici del nutrimento, così costanti e ineliminabili perché fondanti da sempre l’origine e la continuità della vita. 

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