La pandemia da Coronavirus si è manifestata con caratteristiche peculiari e la Ricerca scientifica, per lo più orientata verso la sintesi di anticorpi specifici in grado di contrastare gli effetti del virus e la produzione di un vaccino, non ha sino ad ora fornito sufficienti risultati sulle caratteristiche della malattia, sui meccanismi che ne favoriscono l’aggressione all’uomo, sugli obiettivi biologici verso i quali indirizzare un trattamento farmacologico e neppure sulle caratteristiche immunologiche del virus. Tutto ciò rende purtroppo molto problematiche le strategie difensive che ad oggi, di fatto, sono limitate alle indiscutibili misure di distanziamento fisico e di igiene individuale.
Vitamina D, quale funzione?
Nel marzo scorso, sulla base di dati scientifici teorici, avevamo ipotizzato che il decorso clinico del COVID-19 fosse influenzato, in senso negativo, da ridotti livelli di Vitamina D nel sangue.
La Vitamina D è nota da tempo per la sua capacità di stimolare la produzione di anticorpi in grado di difenderci dalle malattie, soprattutto da quelle infettive e virali (link 1) (link 2), ed era pertanto plausibile ipotizzare un suo coinvolgimento anche nei meccanismi che sviluppano le più nefaste conseguenze del COVID-19. Successivamente si è verificato un intenso dibattito a livello internazionale documentato da moltissimi dati scientifici (oltre 300 lavori editi nel 2020) che confermerebbero questa ipotesi, sebbene non siano ancora disponibili rigorosi e controllati studi prospettici.
In generale, la nostra ipotesi ha trovato conferma da studi ottenuti “sul campo” che hanno analizzato l’andamento clinico dei Pazienti e la loro risposta al trattamento con Vitamina D. Dagli studi è emerso che la presenza di ridotti livelli di Vitamina D era collegata ai casi da COVID 19 in forma severa e ad un più sfavorevole decorso clinico in presenza appunto di una ipovitaminosi più pronunciata.
Le evidenze degli studi
Fra i numerosi studi analizzeremo quindi quelli che prendono in considerazione l’utilizzo della Vitamina D per la prevenzione e per il trattamento dei pazienti COVID-19, e dai quali emergono alcune evidenze che è importante sottolineare:
- In uno studio osservazionale condotto su 154 Pazienti, la prevalenza di soggetti carenti di Vitamina D (con valori inferiori ai 20 ng/mL) è risultata del 31,9% negli asintomatici e del 96,9% in quelli che si sono aggravati al punto tale da richiedere un ricovero in terapia intensiva (link 3)
- In uno studio randomizzato su 76 Pazienti con scarsa sintomatologia, la percentuale di soggetti per i quali successivamente è stato necessario il ricovero in terapia intensiva è stata del 2%, se trattati con dosi elevate di Vitamina D (calcifediolo) e del 50% nei Pazienti non trattati (link 4)
- In 77 soggetti anziani ospedalizzati per COVID-19, la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di colecalciferolo se assunto nell’anno precedente o al momento della diagnosi (link 5)
- In una sperimentazione clinica su 40 Pazienti asintomatici (o con sintomi lievi) è stata osservata la negativizzazione della malattia nel 62,5% dei Pazienti trattati con alte dosi di colecalciferolo (60.000 UI/die per 7 giorni) (link 6)
Da questi e da altri studi si può desumere che la Vitamina D sia più efficace contro il COVID-19, se somministrata con obiettivi di prevenzione (link 7) soprattutto nei soggetti anziani, fragili e ospiti in strutture di assistenza, e in dosi elevate.