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Fecondazione assistita, a che punto siamo?

Autore: Prof. Ermanno Greco

Grazie a tecniche e test innovativi di diagnosi pre-impianto, è possibile aumentare le possibilità di successo di questo percorso di coppia 

Quando parliamo di inseminazione artificiale ci riferiamo ad un insieme di tecniche che imitano il naturale processo di riproduzione con lo scopo di facilitare l’inseminazione dell’utero da parte degli spermatozoi: si ricorre a questo tipo di procedimento quando gli spermatozoi trovano difficoltà a raggiungerlo a causa di un ostacolo oppure per la mancata qualità o quantità dello sperma maschile.

Percentuali di successo, la scelta degli embroni

Come evidenziano i dati della letteratura scientifica nazionale e internazionale, ad oggi le tecniche di Fecondazione assistita in vitro (FIVET, ICSI, IMSI), presentano percentuali di successo ancora general-mente basse: in Italia, secondo l’ultima relazione presentata dal Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), le probabilità di successo delle tecniche di secondo livello si attesterebbero intorno al 17-20% contro il 25-30% di altri paesi europei.
Questo dato naturalmente si ripercuote in maniera estremamente negativa sulla coppia in procinto di iniziare questo percorso, sia dal punto di vista psicologico che economico, determinando spesso stati di profonda frustrazione. È molto importante, quindi, che i Centri di fecondazione artificiale prediligano, fin dal primo tentativo, quelle tecniche in grado di ottenere le più elevate possibilità di successo senza incorre nel rischio di una gravidanza multipla, che rappresenta sempre un grave rischio sia per la madre che per il nascituro. Oggi questo è possibile se, attraverso le tecniche di Fecondazione in vitro, gli embrioni da trasferire all’interno dell’utero non vengono più scelti sulla base della loro apparente qualità morfologica (embrioni di tipo A, B, C) ma su quella, invece, della loro salute genetica, ossia del loro naturale assetto cromosomico: molteplici studi internazionali hanno dimostrato che anche embrioni bellissimi da un punto di vista morfologico possono risultare difettosi, quindi malati, da un punto di vista cromosomico, non riuscendo pertanto ad impiantarsi oppure dando come esito un aborto.

L’importanza dei geni

La capacità degli embrioni di impiantarsi nell’utero dipende per il 70% dalla loro normalità genetica e per il 30% dalla capacità del tessuto presente all’interno dell’utero (endometrio) di essere sincrono e in grado di produrre alcune molecole essenziali per l’impianto della blastocisti (embrione di 5/6 giorni). Grazie alla ricerca, si è potuto scoprire che purtroppo, anche nelle Pazienti giovani (al di sotto dei 35 anni), il 40-50% degli embrioni prodotti con un trattamento di Fecondazione in vitro può risultare geneticamente malato, indipendentemente dallo stato genetico di partenza dei genitori.
Le anomalie cromosomiche degli embrioni sono per l’80% di origine femminile, in relazione a possibili difetti degli ovociti che aumentano con l’aumentare dell’’età materna (sono più frequenti dopo i 37/38 anni), e per il restante 20% di origine maschile, soprattutto in caso di gravi alterazioni del liquido seminale. È doveroso ricordare, a questo punto, che la legge italiana (40/2004, articolo 14, comma 5) concede comunque, a tutte le coppie che desiderano sottoporsi all’Inseminazione artificiale in vitro, il diritto di conoscere lo stato di salute dei propri embrioni prima del loro effettivo trasferimento all’interno dell’utero.

La diagnosi pre-impianto

Le conseguenze cliniche del trasferimento nell’utero di un embrione geneticamente malato sono diverse:

  • ripetuti fallimenti del procedimento di Fecondazione in vitro;
  • aborto spontaneo;
  • aborto terapeutico per patologie cromosomiche fetali confermate attraverso una diagnosi genetica prenatale (villocentesi, amniocentesi).

Senza dubbio la diagnosi genetica pre-impianto può rivelarsi uno strumento fondamentale per prevenire l’impianto di embrioni difettosi, sia da un punto di vista preventivo (riduzione del rischio riproduttivo di fallimento), che terapeutico (riduzione del rischio di abortività spontanea o terapeutico), oltre a migliorare le percentuali di successo dell’intero procedimento. A differenza delle tecniche precedenti (PCR, aCGH), quella più recente di analisi cromosomica mediante NGS (Next Generation Sequencing) consente di valutare non solo tutti i cromosomi dell’embrione, ma anche il DNA mitocondriale, ovvero la centrale energetica che svolge un ruolo imprescindibile nello sviluppo prima dell’embrione e poi del feto. In questo caso la diagnosi pre-impianto viene effettuata a livello delle blastocisti prelevando 5/10 cellule dal trofoectoderma, cioè il tessuto che poi formerà la placenta, poiché geneticamente risultano identiche alle cellule embrionali. Questo tipo di biopsia non agendo più, come in passato, direttamente sull’embrione, non ha alcun impatto negativo sull’impianto e molti studi scientifici dimostrano che, a prescindere dall’età della donna, il trasferimento di un’unica blastocisti sana consente di ottenere circa il 60% di successo del procedimento, con una percentuale di aborto ridotta al 10% e il rischio di gemellarità non superiore al 4%. Le percentuali di errore della tecnica sono inferiori all’1%.


Per quali Pazienti?

Le Pazienti più indicate per sottoporsi a questa tecnica sono:

  • giovani donne per le quali si voglia effettuare un trasferimento embrionale singolo, ottimizzando le percentuali di impianto e azzerando quasi del tutto le possibilità di gravidanze multiple;
  • donne con un rischio particolarmente alto di alterazioni cromosomiche embrionali, quindi Pazienti con età materna avanzata (superiore ai 36 anni compiuti), con alle spalle aborti ripetuti (almeno due o tre) oppure diversi procedimenti di impianto embrionale, sia omologhi che eterologhi, falliti (almeno tre tentativi o più di dieci embrioni trasferiti).
  • Possono ricorrere a questa tecnica anche Pazienti portatrici di malattie genetiche come Traslocazioni, Inversioni, Anemia mediterranea, Fibrosi cistica, Emofilia, Distrofia muscolare e l’X fragile.

Infine risulta particolarmente indicata anche per tutte quelle donne che presentano un’elevata capacità di produrre ovociti indotta da stimolazione ormonale: a questo proposito, tramite un test preliminare molto semplice, come la conta ecografica dei follicoli antrali ed il dosaggio ematico dell’ormone antimulleriano, è possibile valutare la riserva ovarica della Paziente.

Recettività del tessuto uterino

Una volta ottenuti embrioni sani, occorre essere sicuri anche della qualità del “terreno” in cui si procede ad impiantarli, cioè il tessuto (endometrio) che riveste l’utero femminile: numerosi studi internazionali hanno evidenziato che circa il 25% delle donne con fallimenti di impianto embrionale presenta un endometrio non recettivo, definito in gergo tecnico come un “dislocamento della finestra di impianto”.
Oggi tuttavia, grazie ad un test apposito chiamato ERA-test, siamo in grado di identificare con esattezza questa finestra e procedere quindi ad un transfer embrionale personalizzato, con una notevole riduzione delle percentuali di fallimento e quindi di possibile abortività.
Un ulteriore ostacolo all’impianto dell’embrione può determinarsi per via di un’alterazione della flora batterica uterina e in particolare per una diminuzione, al di sotto del 90%, della flora lattobacillare e/o per la presenza di un Endometrite cronica. Anche questa tipologia di quadro può essere accertata con alcuni test genetici innovativi in grado di determinare con esattezza l’alterazione presente (endometriome).

Qualità degli spermatozoi

Infine una migliore selezione degli spermatozoi da inserire all’interno dell’ovocita può contribuire sensibilmente ad aumentare le percentuali di successo dell’impianto. L’Infertilità maschile, infatti, può generare anomalie cromosomiche degli embrioni soprattutto a livello dei cromosomi sessuali: l’inserimento di uno spermatozoo di cattiva qualità all’interno dell’ovocita può quindi portare ad un mancato impianto oppure all’aborto. A questo scopo si sono rivelate fondamentali due tecniche: la selezione ad iperingrandimento degli spermatozoi (IMSI) e la selezione degli spermatozoi con un DNA integro non frammentato (MACS).
Grazie all’apporto di queste tecniche e test innovativi, possiamo comunque affermare che attualmente non sia più giustificato recarsi all’estero per ricorrere alla Fecondazione in vitro eterologa, maschile o femminile, oppure per congelare embrioni soprannumerari (che non vengono traferiti). Le percentuali di successo dopo circa 400 casi effettuati nel nostro Centro, ad esempio, sono del tutto simili a quelle di altri paesi, con valori che si assestano intorno al 60% con un 49% di nascite effettive.

Altri test genetici

Ulteriori test genetici, come il Genescreen, permettono poi un più completo accoppiamento genetico tra donatrice e ricevente, riducendo ulteriormente il rischio, per l’embrione, di contrarre malattie genetiche rare.
Da non dimenticare anche la grande opportunità della Crioconservazione degli ovociti (“social freezing”) per tutte quelle donne che, grazie al congelamento degli ovociti, pur non avendo ancora in progetto una gravidanza, intendono comunque preservare tutte le loro future possibilità riproduttive. Questa tecnica risulta molto utile anche per tutte le Pazienti oncologiche che, dopo aver sconfitto malattie gravissime, vogliono mantenere intatta anche la loro qualità di vita riproduttiva.
Infine, per tutte quelle donne che temono che una stimolazione ormonale possa provocare l’insorgenza di una patologia neoplastica, sono a disposizione nuovi test genetici in grado di valutare tale predisposizione. Per concludere, anche la possibilità di effettuare un test di screening sulla salute del feto alla decima settimana di gravidanza, grazie ad un semplice prelievo di sangue dalla madre, permette di intraprendere al meglio una gravidanza sicura ed informata. 

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