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Lombalgia, dalle cause alla cura

Autore: Dott.ssa Maria Sole Chimenti

Prevenzione e accesso precoce alle cure rappresentano le strategie vincenti per contrastare queste patologie 

Per parlare del “mal di schiena” è necessario partire dalla sua definizione: si tratta di un dolore a livello della colonna vertebrale che può irradiarsi a livello degli arti o della parete toracica. Il dolore può riacutizzarsi con il movimento e in determinate posizioni, creando limitazione funzionale nei movimenti di flesso-estensione e di lateralità del rachide. La forma più frequente di “mal di schiena” è la Lombalgia, caratterizzata da diverse irradiazioni: il dolore può estendersi dal margine inferiore dell’arcata costale e le pieghe glutee inferiori, con o senza irradiazione posteriore alla coscia, fino ad oltre il ginocchio.

La diffusione del problema

I dati del Ministero della Salute ci dicono che circa l‘85% della popolazione mondiale ha accusato nel corso della sua vita almeno un episodio di dolore lombare e il 70% della popolazione mondiale ha avuto almeno un episodio di Lombalgia invalidante. In base alla durata dei sintomi la Lombalgia si definisce: acuta (fino a 4-6 settimane), subacuta (da 4-6 settimane fino a 3 mesi) e cronica (superiore a 12 settimane).
La Lombalgia colpisce principalmente i soggetti in età giovanile e lavorativa e l’età media di insorgenza è di 45 anni. In Italia, è tra le più frequenti cause di assenza dal lavoro ed ha perciò un’elevata incidenza socioeconomica, essendo la principale causa di disabilità a lungo temine nel mondo.

Le cause

Il dolore lombare può essere il sintomo di numerose malattie vertebrali e non vertebrali e a volte non è possibile riconoscere una causa specifica. Nella maggior parte dei casi il “mal di schiena” è riconducibile a cause di natura meccanica, ma può essere anche espressione di uno stato infiammatorio cronico correlato a una patologia reumatica appartenente alla famiglia delle cosiddette Spondiloartriti. Quest’ultimo, se non trattato correttamente e tempestivamente, può portare nel tempo all’instaurarsi di gravi danni articolari irreversibili.
Le Spondiloartriti sono malattie insidiose, ma il dolore che le connota presenta alcune caratteristiche cliniche piuttosto specifiche che, solo se conosciute, possono essere individuate, consentendo di rivolgersi allo Specialista di riferimento che è il Reumatologo.
I sintomi sono spesso trascurati da chi ne soffre. Le Spondiloartriti si manifestano tipicamente in età giovanile, quando i dolori alla schiena sono più facilmente associati a cause meccaniche, anche perché le Malattie reumatiche, secondo l’immaginario collettivo, sono tipiche dell’età avanzata. Inoltre, il caratteristico andamento di queste patologie con alternanza di periodi di malattia attiva e periodi di benessere porta a sottovalutare la problematica per lungo tempo, con ricorso all’automedicazione e all’abuso di farmaci algesici.

La diagnosi corretta

Prevenzione e accesso precoce alle cure rappresentano le strategie vincenti per contrastare queste patologie. Eppure, ancora oggi i tempi per raggiungere una corretta diagnosi sono ancora molto lunghi: il ritardo diagnostico in Europa è stimato intorno ai 7-9 anni per dare un nome alla propria malattia, anni segnati da profonda sofferenza, frustrazione, estenuanti pellegrinaggi tra Specialisti alla ricerca di una diagnosi. Ad oggi, da un nostro recente lavoro di sensibilizzazione di Medici e Operatori sanitari, e grazie anche alle migliori conoscenze di Tecniche di Imaging, nella regione Lazio il ritardo diagnostico si è ridotto a 3 anni, tempo ancora molto lungo!
Il compito del Medico di Medicina generale e del Reumatologo è quello di riconoscere i Pazienti sospetti per Lombalgia attraverso la valutazione specifica. L’anamnesi e l’esame obiettivo permettono di inquadrare la Lombalgia grave o specifica.
I campanelli di allarme che possono far sospettare una Lombalgia infiammatoria, che può essere alla base di Patologie infiammatorie croniche delle articolazioni quali le Spondiloartriti, sono: dolore lombosacrale continuativo per oltre tre mesi, insorgenza dei sintomi nei Pazienti giovani (di età inferiore ai 40 anni), dolore notturno/a riposo che migliora con il movimento della durata superiore a 3 mesi, insorgenza del dolore notturno, rigidità mattutina (che dura più di 30 minuti).

Se il dolore diventa cronico

Nell’ambito degli ambulatori di Reumatologia ci troviamo spesso davanti a Pazienti affetti da dolore cronico, ovvero un dolore che permane per oltre tre mesi, allora non si tratta più di un sintomo, ma di una malattia: parliamo di dolore cronico. Solo chi ne soffre sa cosa significhi vivere con questa problematica e quanto sia invalidante. L’esperienza del “mal di schiena” cronico comprende non solo aspetti sensoriali correlati al dolore fisico, ma anche quelli emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali, impattando pesantemente sulla qualità della vita dei Pazienti e dei loro familiari. Le attività quotidiane, anche le più semplici, diventano un peso insostenibile e l’impossibilità di portare avanti i propri impegni familiari, domestici, lavorativi e ludici, genera sensi di colpa e di inadeguatezza, frustrazione e insoddisfazione.
Il dolore cronico fa sì che la persona che ne è affetta focalizzi i propri pensieri sul problema e modifichi i propri ritmi di vita per adattarli alla sintomatologia stessa, con il rischio di depressione, ansia e isolamento. Affrontare il “mal di schiena” cronico e comprenderne la causa significa poter identificare le soluzioni terapeutiche più efficaci per alleviare la propria sofferenza e vivere meglio.


La diagnosi precoce

Arrivare precocemente ad una diagnosi è cruciale perché consente di avviare tempestivamente le cure prima che il danno articolare diventi irreversibile e permanente. Proprio la diagnosi viene formulata sulla base di diversi fattori: del quadro clinico, degli esami di laboratorio (marcatori dello stato infiammatorio in atto: VES e PCR) e dall’utilizzo di esami di diagnostica per immagini (radiografia e risonanza magnetica del rachide lombare e delle articolazioni sacro-iliache) alla ricerca di segni di infiammazione ed eventuali modifiche strutturali delle strutture osteoarticolari e periarticolari.
È necessario sottolineare anche l’importanza di eseguire gli esami strumentali con macchinari adeguati e con l’occhio esperto di Radiologi che si occupano di Patologie muscolo-scheletriche. A completamento possono essere prescritti ulteriori esami per una corretta diagnosi differenziale nell’ambito della “famiglia” delle Artriti croniche infiammatorie.
Siamo noi Specialisti in Reumatologia i Medici di riferimento per le malattie caratterizzate da infiammazione che colpiscono l’apparato muscolo-scheletrico.

Terapie e rimedi 

Esistono diverse strategie per combattere il dolore, tutte includono un approccio multidisciplinare e olistico con al centro il benessere del Paziente a 360°. L’aiuto e l’importanza della terapia farmacologica consiste nel ridurre i segni e sintomi legati al processo infiammatorio e alla contrattura muscolare.
Nei Pazienti affetti da Spondiloartrite, la prima linea di trattamento è rappresentata dai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS): questi farmaci hanno proprio lo scopo di spegnere il processo infiammatorio, pertanto vanno assunti per periodi prolungati (fino a 4 settimane) e, laddove efficaci, ripresi ciclicamente. Se abbiamo una persistente ed elevata attività di malattia, devono essere considerati i farmaci antireumatici modificanti la malattia di tipo biologico (bDMARDs). Queste terapie, che utilizziamo da circa 20 anni e nascono dalle bio-tecnologie, possono essere prescritte solo da noi Specialisti Reumatologi presso Centri di riferimento autorizzati. La prescrizione deve essere ponderata per ciascun Paziente, scegliendo al meglio la molecola più adatta in base alle caratteristiche cliniche del Paziente e alla presenza di altre malattie. Lo scopo della terapia è migliorare il decorso clinico della malattia e ridurre il dolore, migliorare la funzionalità articolare e della mobilità della colonna, e conseguentemente della qualità di vita del Paziente.

L’attività fisica

Preziosa alleata nel migliorare il percorso di cura e nel contribuire al benessere psico-fisico del Paziente, l’attività fisica deve essere considerata assolutamente come parte integrante del programma terapeutico. È fondamentale che venga praticata regolarmente e costantemente (almeno 30 minuti di attività fisica 3 volte alla settimana, meglio ancora tutti i giorni). Quale tipo di attività fisica? Le caratteristiche devono essere: gradualità, moderazione e personalizzazione. Per questo può essere necessario consultare lo Specialista di riferimento (Terapeuta della Riabilitazione o Operatori nell’ambito dello sport) per la definizione di un programma adeguato anche in relazione al quadro clinico. In linea generale, sono indicate tutte le attività a basso impatto aerobico (nuoto, ginnastica posturale, pilates, yoga, ecc.) a cui è raccomandato affiancare esercizi di Riabilitazione posturale per potenziare le masse muscolari.

Gestione dello stress

Una terza componente molto rilevante, suggerita dalle forti evidenze scientifiche, è la gestione dello stress e il miglioramento degli stili di vita: “Mens sana in corpore sano” dicevano i latini. Per riuscire in questo intento serve appoggiarsi anche ad altre discipline tra cui il “Medical Coaching”, oppure la Terapia cognitivocomportamentale o la Mindfulness. Il Medical Coaching, ad esempio, è un processo che aiuta a sviluppare una resilienza emozionale, fisica e mentale durante un problema di salute per imparare a gestire la malattia e riprendere il controllo della propria vita. Migliorare gli stili di vita, come avere una corretta alimentazione, il controllo del peso corporeo e astenersi dal fumo di sigaretta, è fortemente suggerito per poter raggiungere il buon controllo della sintomatologia clinica. Anche altri percorsi di consapevolezza interiore possono essere d’aiuto per ritrovare un equilibrio fisico e mentale, come il Purpose &Talent, che è un metodo che aiuta l’individuo a ritrovare significato delle proprie azioni e allineare il proprio ruolo, personale e professionale, alla propria identità. In conclusione possiamo sottolineare l’importanza della condivisione con il proprio Medico dei sintomi per renderlo più consapevole della migliore scelta terapeutica per Paziente.

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