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Sostenibilità nutrizionale e impatto ecologico

Autore: Prof. Comm. Mauro Serafini Ph.d Facoltà di Bioscienze e

Valutare l’impatto ambientale del cibo in associazione con il valore nutrizionale e funzionale ci permette di tutelare la nostra salute e quella del pianeta

Le nostre scelte alimentari hanno un impatto sulla nostra salute e, allo stesso modo, condizionano la qualità dell’ambiente che ci circonda. Secondo stime delle Nazioni Unite, che prevedono una popolazione mondiale di 9 miliardi nel 2050, la produzione alimentare dovrà essere quasi raddoppiata per sostenere l’aumento dei consumi alimentari che passeranno da un consumo calorico mondiale di 2772 Kcal/giorno a persona (18 trilioni Kcal totali) del 2006 a circa 3070 Kcal/giorno a persona (28 trilioni Kcal; 3500 Kcal/giorno a persona nei paesi industrializzati).

La sostenibilità nutrizionale

La presa di coscienza da parte dell’uomo sull’impatto ambientale del cibo che mangiamo ha stimolato la discussione sull’importanza delle diete “sostenibili” che, preservando la salute dell’uomo, proteggono l’ecosistema. In quest’ottica, la sostenibilità nutrizionale si basa su alcuni cardini quali la preservazione della biodiversità, la sicurezza alimentare, la riduzione degli sprechi, il basso impatto ecologico del cibo e la “funzionalità” degli alimenti, rafforzando il concetto che la salute dell’Uomo non può essere svincolata dalla salute del Pianeta.

Alimenti e impronta ecologica

Analizzando la piramide ambientale, che descrive l’impatto ambientale degli alimenti in termini di impronte ecologiche, rileviamo che gli alimenti di origine vegetale, che si posizionano sulla punta della piramide, sono quelli a minor impatto ambientale, e anche quelli che conferiscono maggiore protezione per la salute dell’individuo (vedi piramide mediterranea). Gli alimenti di origine animale, in primis carne e derivati, hanno un impatto ambientale più elevato in conseguenza del fatto che le risorse che vengono utilizzate come acqua, e m2 di terreno occupati dagli allevamenti sono notevoli, in associazione con un’enorme produzione di anidride carbonica e si posizionano alla base della piramide. Basti pensare che, per produrre 225 g di patate, pomodori, pollo e bovini, si producono emissioni di anidride carbonica equivalenti a quelle prodotte guidando un’auto rispettivamente per 300 m, 320 m, 1.7 Km e 15.8 Km. È quindi evidente che, sulla base dei dati della Piramide ecologica, la scelta alimentare basata su un consumo elevato di alimenti di origine animale è dannosa per l’ambiente e per il benessere dell’individuo. È però doveroso fare una riflessione, i dati della Piramide ambientale si riferiscono ad un confronto a parità di peso, è chiaro che l’utilizzo di risorse per produrre un kg di carne sarà più elevato di quello necessario a produrre un kg di frutta o ortaggi. Diventa quindi fondamentale valutare l’impatto ambientale degli alimenti in funzione dei consumi della popolazione e/o rispetto a dei regimi alimentari ottimali, vedi Dieta Mediterranea, per poter calcolare il vero impatto ambientale di una dieta e fare le scelte alimentari corrette per tutelare l’ambiente.

Impatto ambientale e valore nutrizionale del cibo

Esiste un altro aspetto, altresì focale e sul quale non è stata fatta alcuna riflessione, ma che rappresenta un aspetto cruciale del rapporto tra cibo, pianeta e ambiente: la relazione tra impatto ambientale, valore nutrizionale e funzionale del cibo e consumi raccomandati. Un esempio a tale proposito ci viene dalla Dieta Mediterranea, così come nei modelli alimentari di popolazioni longeve, come nelle Blue Zones della Sardegna o di Okinawa caratterizzate da un consumo moderato di alimenti di origine animale associato ad un alto consumo di alimenti di origine vegetale. Fra tutti i fattori coinvolti, sicuramente l’alimentazione “semi-vegetariana” gioca un ruolo fondamentale nel promuovere la longevità e diminuire l’incidenza delle patologie legate all’invecchiamento. Le diete con più alto consumo di frutta e verdura, infatti, producono sostanziali miglioramenti in alcuni fattori di rischio per diverse malattie, come la pressione arteriosa e i livelli di infiammazione. Tutto questo perché frutta, verdura e cereali, insieme ai legumi, oltre ad essere le principali fonti di fibre alimentari, sono ricchissimi di vitamine, minerali, fibre e composti bioattivi ad attività antiossidante, antinfiammatoria e immuno-modulatoria. Questi composti contribuiscono a potenziare le difese del nostro organismo con un’azione ancora più marcata nei soggetti a rischio di sviluppare una patologia (obesi e sovrappeso caratterizzati da stress ossidativo e infiammatorio).


Alimentazione, longevità e impatto ambientale

Le popolazioni delle aree ad alta longevità hanno abitudini alimentari e culturali in comune, prima fra tutti un’alimentazione parca, frugale, semplice, genuina, povera di grassi e di zuccheri, senza cibi industriali, caratterizzata da un elevato apporto di cibi di origine vegetale (frutta e frutta secca, verdura, legumi e cereali) e da un moderato consumo di carne o pesce, latte e formaggi, tutte scelte alimentari basate sulla stagionalità e prediligendo gli alimenti tipici della zona e/o che provengono dalla coltivazione della propria terra, rispettando in toto i principi della sostenibilità alimentare. In linea con tale modello, le raccomandazioni nutrizionali attuali, che suggeriscono di mangiare circa cinque porzioni al giorno di frutta e verdura, dato l’elevato contenuto di sostanze ad alto valore nutrizionale e funzionale, hanno un loro costo ambientale, se valutate nell’ottica del consumo giornaliero, ma sicuramente tale costo è bilanciato dalla valenza salutistica di questi alimenti, quindi possiamo accettare un impatto ambientale se associato ad un effetto salutistico/nutrizionale.

Disequilibrio energetico e fattori di rischio metabolici

Il nocciolo della problematica, in un’ottica ambientale e salutistica, si basa sull’aumento esponenziale dei consumi di alimenti ultra-processati, alimenti di origine animale e ad elevata densità energetica, conseguenza dell’aumentato benessere sociale, che ha portato ad un aumento generalizzato dell’apporto calorico e a regimi nutrizionali sbilanciati e responsabili della diffusione dell’Obesità e delle connesse Patologie degenerative e altamente impattanti sull’ambiente. Ogni volta che noi consumiamo un pasto ad alto contenuto energetico, o sbilanciato dal punto di vista nutrizionale, causiamo nel nostro organismo uno stress post-prandiale, inducendo meccanismi di protezione endogena che coinvolgono il sistema immunitario. Questa condizione, se protratta nel tempo, può causare condizioni di Obesità e Sovrappeso associate a un aumento dei fattori di rischio metabolici. Il consumo in eccesso di questi cibi “stressogeni” rappresenta un danno non solo per la salute dell’individuo, portando a condizioni che favoriscono l’Obesità, ma anche un costo enorme per il Pianeta, date le emissioni di anidride carbonica prodotte lungo la filiera alimentare.

Spreco Alimentare Metabolico

Al fine di valutare l’impatto ecologico dell’eccesso di cibo associato a una condizione che predispone all’Obesità abbiamo sviluppato un nuovo indice, lo Spreco Alimentare Metabolico (MFW), che valuta i chili di cibo ‘’sprecato’’ associati ai kg in eccesso di una persona con problemi di Sovrappeso od Obesità e il suo impatto ambientale in termini di emissioni di anidride carbonica, consumo di acqua e di terreno. Abbiamo valutato il consumo di cibi “obesigeni”, ossia che possono determinare Obesità (zuccheri, grassi di origine animale, alcolici, ecc.) in 60 soggetti sani sovrappeso o obesi e abbiamo espresso la quantità di cibo responsabile del loro sovrappeso come MFW, che è risultata essere pari a 5710 chili di peso per l’intero campione, con i prodotti di origine animale che erano i maggiori contributori all’MFW. Successivamente abbiamo stimato, utilizzando i dati dei Food Balance Sheets della FAO, lo spreco alimentare metabolico per la popolazione italiana in sovrappeso e obesa che è risultato essere di oltre 2 miliardi di chili di cibo (2.081 milioni), un consumo di acqua pari al 13% del volume del Lago di Garda, una quantità di emissioni di anidride carbonica pari all’11,8% delle emissioni prodotte dalla produzione agricola in Italia e un consumo di terreno pari al 73% della superficie di Asia e Africa.
In uno studio successivo abbiamo calcolato il MFW associato all’Obesità a livello mondiale, sempre utilizzando la base di dati dei Food Balance Sheets FAO, che è risultato essere di circa 141 milioni di tonnellate di cibo sprecato. Tra le sette regioni FAO considerate, l’Europa e il Nord America/Oceania si sono caratterizzate per il maggiore spreco metabolico con 39 e 32 milioni di tonnellate di cibo sprecate. Seguono America Latina (20 milioni), Asia industrializzata (17 milioni), Nord Africa e Asia centrale e occidentale (14.5 milioni), ecc. Gli alimenti che contribuivano maggiormente al MFW, per l’Europa e il Nord America/Oceania, erano latte, uova e i latticini, seguiti dalla carne e dai cereali, suggerendo come non sia scontato che la sola carne svolga un ruolo principale in un’ottica di impatto ecologico, ma che anche altri alimenti, principalmente di origine animale hanno un impatto importante. La ricerca per la prima volta ha quantificato l’insostenibilità nutrizionale ed ecologica dell’Obesità, dando un’idea di quale sia l’enorme impatto dell’eccesso di peso anche sulla salute del Pianeta.

Per concludere

L’analisi di questi dati suggerisce come sia fondamentale valutare l’impatto ambientale del cibo in associazione con il valore nutrizionale e funzionale, valutando per ogni situazione costi e benefici del rapporto impatto ambientale/ valore salutistico al fine di suggerire regimi alimentari in grado di tutelare la salute dell’uomo e quella del pianeta. È necessario sviluppare un approccio di “Eco-funzionalità” alimentare che permetta di valutare al meglio parametri metabolici, nutrizionali e ambientali in grado di fornire informazioni dell’impatto della dieta a tutti i livelli.