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Allergie e vaccini anti-Covid, facciamo chiarezza

Autore: Intervista alla Dott.ssa Maddalena Parma di Antonella Ciana

La Dott.ssa Maddalena Parma, Specialista in Allergologia e Immunologia Clinica, approfondisce la relazione tra vaccini anti-Covid e possibili Allergie e spiega quali sono le necessarie cautele da continuare ad osservare, per evitare il contagio

Ci può parlare del problema delle Allergie ai vaccini anti-Covid?
I vaccini anti-Covid, come tutti i vaccini e come tutti i farmaci, possono provocare reazioni allergiche, più o meno gravi. Sono stati segnalati casi non gravi quali reazioni cutanee, Orticaria e Angioedema (gonfiore della cute) ma purtroppo anche casi più gravi, rappresentati da reazioni anafilattiche. Le prime segnalazioni arrivano dagli Stati Uniti, dove si sono registrati 21 casi di Anafilassi (reazione allergica grave) su quasi due milioni di dosi di vaccino somministrate, con un’incidenza quindi maggiore rispetto a quella dei vaccini antinfluenzali. Questo dato è stato confermato anche dalla nostra AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che aveva notato che, su più di un milione e mezzo circa di vaccini somministrati, si erano verificati 13 casi di Anafilassi. Detto questo, chiaramente la conclusione è che sì, le reazioni allergiche ci sono però, d’altra parte, i vantaggi della vaccinazione anti-Covid sono di gran lunga superiori, stante l'elevata possibilità di essere esposti al rischio di infettarsi. Quindi, anche se sono descritte reazioni allergiche, se possibile, la vaccinazione è vivamente consigliata in quanto, facendo un rapporto rischi/benefici, i benefici risultano sicuramente maggiori dei rischi.

Per quanto riguarda l’Italia qual è la situazione?
Noi abbiamo in Italia (così come nel mondo) molti milioni di allergici ma non tutti gli allergici vanno considerati a rischio di sviluppare una reazione più o meno grave al vaccino anti-Covid. Occorre sapere che devono essere considerati più a rischio della popolazione generale i Pazienti che hanno avuto reazioni anafilattiche con qualsiasi tipo di sostanza, sia essa un farmaco, un vaccino, un alimento, una puntura di imenotteri (api, formiche, calabroni, vespe, ecc.), i Pazienti che soffrono di una forma grave di Asma che, al momento del vaccino, non è compensata dalla terapia, e i Pazienti che sono affetti da Mastocitosi (malattia contraddistinta dall'accumulo di mastociti in diversi organi e tessuti del corpo). Questi sono Pazienti più a rischio degli altri che però, con le dovute cautele e una buona anamnesi allergologica, possono fare comunque il vaccino. Poi ci sono invece i Pazienti che sono considerati fortemente sospetti, anche se non accertati, perché purtroppo non abbiamo, al momento, dei precedenti vaccini che siano uguali a quelli attualmente disponibili per il Covid. Le reazioni allergiche sembrano avvenire verso gli eccipienti di tali vaccini che sono rappresentati dal Macrogol o PEG 2000 e dal Polisorbato 80; il Macrogol e il Polisorbato 80 sono presenti entrambi  nel vaccino Pfizer e nel Moderna, il Polisorbato 80 è invece presente da solo nell’AstraZeneca e nel Jonhson & Jonhson; questi due componenti, pur essendo diversi, sono tuttavia strutturalmente simili, per cui inAllergologia si dice che sono potenzialmente cross-reattivi. Di conseguenza, un Paziente che risulta allergico al Peg 2000 (o Macrogol, contenuto ad esempio in molti lassativi), deve essere testato anche per il Polisorbato 80; questo permette di capire se in  questo Paziente è controindicato solo il vaccino Pfizer/Moderna oppure anche il vaccino AstraZeneca/ Jonhson & Jonhson. Sono pertanto considerati a rischio di reazioni allergiche al vaccino Covid i Pazienti che hanno avuto precedenti reazioni con farmaci contenenti gli stessi eccipienti.

Vengono eseguiti dei test?
Sì, nei Pazienti precedentemente descritti si possono eseguire i test cutanei per gli eccipienti che vanno riservati, come indicato prima, soltanto in Pazienti superselezionati che sono fortemente sospetti di avere un’Allergia a tali componenti. Anche nell'eventualità che il Paziente risultasse allergico potrebbe esserci infine la possibilità, come per altri farmaci e altri vaccini, di eseguire una desensibilizzazione, somministrando il vaccino in dosi minimali e crescenti, in modo da creare nel Paziente allergico una sorta di tolleranza. Si tratta tuttavia di una possibilità molto particolare in cui i potenziali rischi di una non vaccinazione devono superare di gran lunga i rischi della reazione allergica.


Cosa pensa dell’obbligo delle mascherine all’aperto?
Noi sappiamo benissimo che il virus non cammina e non vola per cui il contagio è interumano  tramite il parlare, il respirare, oppure, se si è particolarmente sfortunati, toccando qualcosa, contaminato da secrezioni infette, su cui un Paziente positivo/malato ha appena starnutito o tossito, e successivamente toccandosi gli occhi, la bocca, il naso. In teoria, l’uso delle mascherine all’aperto potrebbe anche essere considerato non sempre necessario, anche se, dal momento che la maggior parte di noi vive in zone con un’alta densità di popolazione, dove quindi il rischio di incrociare e di venire a contatto con le persone è sempre piuttosto elevato, è comunque utile indossarle anche se si è momentaneamente soli “in mezzo alla strada”. Si tratta di un ragionamento di buon senso a cui tutti dovrebbero arrivare, anche se ciò non è sempre così scontato. Tuttavia, con l’aumentare del numero di vaccinazioni nella popolazione generale, probabilmente l’obbligo delle mascherine all’aperto verrà considerato superfluo anche perché gli ultimi studi sull’argomento dimostrano una possibilità di contagio all’aria aperta molto remota.

Qual è il ruolo della Vitamina  D nella prevenzione delle malattie respiratorie?
Della Vitamina D si parla molto da alcuni anni ed è stato visto che sicuramente ha degli effetti benefici sull’apparato respiratorio: i primi studi, effettuati su Pazienti che avevano carenza di Vitamina D, hanno evidenziato che effettivamente essi avevano una maggiore incidenza di malattie dell’apparato respiratorio; viceversa, dando a questi Pazienti una supplementazione di Vitamina D, si era riscontrata una minore incidenza delle stesse malattie. Oggi sappiamo che la Vitamina D ha degli effetti immunostimolanti e immunomodulanti, stimola fra l'altro la proliferazione e la differenziazione dei linfociti T, la produzione di fattori antimicrobici e antivirali e sembra che sia in grado addirittura di inibire direttamente la replicazione del virus. Negli studi più recenti, quindi, si è cercato di applicare questi concetti anche all’infezione da Covid-19 e di vedere se effettivamente la Vitamina D potesse avere un’utilità, visto che stiamo sempre parlando di una malattia virale. Sembra che ulteriori studi abbiamo dimostrato anche che la Vitamina D sia in grado di regolare la produzione di citochine (le piccole molecole proteiche che fanno da messaggero tra le cellule), inibendo alcune citochine pro-infiammatorie, come ad esempio il TNF- alfa e l'interferon gamma e stimolandone altre che inibiscono l’infiammazione. Quindi si è ipotizzato che la Vitamina D potrebbe essere in qualche modo utile nel controllare o diminuire quella famosa tempesta citochinica che si verifica nei Pazienti che hanno l’infezione da Covid-19, soprattutto nelle forme più gravi, responsabile dei danni maggiori a livello polmonare e a tutto l'organismo in generale. Chiaramente siamo ancora ben lontani dal poter dire “diamo la Vitamina D come terapia per il Covid”, però comunque in ogni caso una supplementazione di Vitamina D potrebbe esercitare un effetto benefico e agire come coadiuvante; che poi possa costituire una svolta decisamente positiva nella terapia del Covid e nell’evoluzione della malattia, questo francamente non è possibile dirlo e saranno necessari molti altri studi.

Lo stesso può dirsi dei probiotici?
Anche di questi si sta parlando da anni nella Ricerca scientifica, che si è ultimamente focalizzata molto sull’equilibrio del microbiota intestinale (microbiota è la parola che ha sostituito il vecchio “flora batterica intestinale”) che rappresenta l'insieme di tutti i microorganismi residenti  all’interno dell’intestino, siano essi buoni o cattivi, cioè patogeni. Avere un microbiota che è in buon equilibrio, dove cioè esiste un rapporto equilibrato fra microrganismi buoni e microrganismi patogeni, risulta chiaramente un fattore estremamente positivo perché comunque il microbiota intestinale agisce come un vero e proprio organo, garantendo non solo che l’intestino funzioni in maniera corretta, ma anche che tutto l’organismo abbia un buon funzionamento. Gli studi recenti hanno dimostrato che il microbiota intestinale può agevolare anche l'attività del sistema immunitario, favorendo soprattutto la produzione di anticorpi, in modo particolare le immunoglobuline A e le immunoglobuline M che sono fra le prime linee difensive verso le  aggressioni da parte di virus e di batteri. I fermenti probiotici, termine che ha sostituito il vecchio “fermenti lattici”, secondo la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono dei microorganismi vivi che, se sono somministrati alla persona in quantità adeguata, possono apportare un effetto benefico alla persona che li ospita. I probiotici appartengono a tante categorie, i più diffusi sono i lattobacilli, gli streptococchi, i bifidobatteri e anche alcuni funghi o lieviti (i saccaromiceti): un buon probiotico deve contenere un’adeguata quantità di tutti questi ceppi che favoriscono naturalmente un buon equilibrio del microbiota. I probiotici agiscono come fattori antinfiammatori e stimolano il sistema immunitario, favorendo quindi uno stato di benessere generale; ciò può essere utile sia nella prevenzione che nella terapia di varie patologie. Analogamente a quanto detto per la Vitamina D il ruolo di coadiuvanti nel Covid-19 può essere attualmente solo ipotizzato e necessita di ulteriori studi.

È opportuna la vaccinazione nei Pazienti che hanno già avuto la virosi Covid-19?
Nel caso di soggetti che hanno superato la malattia è sempre opportuno, prima di eseguire la vaccinazione, sottoporre il Paziente ad un esame sierologico per valutare il numero di anticorpi presenti nel sangue poiché, in caso di valore elevato, è necessario evitare la vaccinazione e rivalutarla successivamente.