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COVID-19 oggi

Autore: Intervista al Prof. Pierluigi Viale di Antonella Ciana

Numeri, misure in atto e terapie

Professore, ci può dare un quadro della situazione in merito all’attuale dell’epidemia di COVID-19?
La situazione può essere assunta in questi termini: attualmente abbiamo gli stessi numeri di casi di infezione che avevamo a marzo scorso, dove per “caso Covid” si intende un Paziente con un tampone positivo. La differenza sostanziale è che a marzo contavamo pressoché solo i malati che facevano i tamponi quando si presentavano in Ospedale, quindi, su 100 tamponi eseguiti che risultavano positivi, 90 appartenevano ai Pazienti. Adesso invece facciamo 150.000 tamponi al giorno, e su 100 tamponi positivi solo il 5-6% appartiene ai Pazienti che vengono ricoverati in Ospedale, gli altri casi appartengono a Pazienti che sono asintomatici o paucisintomatici e che possono essere gestiti a casa. Quindi c’è una differenza sostanziale: il numero dei casi definiti come tampone positivo sono uguali, ma l’impatto della malattia è completamente differente. Questo è un passaggio fondamentale, nel senso che probabilmente quello che vediamo adesso, avendo la capacità di fare 150.000 tamponi al giorno, è quello che avremmo visto se avessimo fatto 150.000 tamponi al giorno a gennaio-febbraio 2020. Questa è la situazione precedente l’esplosione della pandemia, cioè l’esplosione dei casi in cui il virus circolava attraverso i Pazienti di soggetti asintomatici e che stava creando la base dell’iceberg che è poi diventato. Questo significa che la percentuale di Pazienti infetti che “fa malattia’ non la conosciamo, perché impariamo a conoscerla solo adesso. Possiamo dire che la percentuale è stimata intorno al 10%, ovvero che un Paziente su dieci che è infettato “fa malattia”. Quindi il concetto è semplice: probabilmente quando è scoppiata la pandemia, cioè quando dal 21 febbraio scorso abbiamo cominciato ad essere sommersi dai casi, ciò derivava da una circolazione di virus tra Pazienti asintomatici senza che prendessimo alcuna precauzione, ciò che ha via via generato casi di malattia. Probabilmente c’erano già casi a dicembre, gennaio e febbraio, ma non ce ne siamo accorti, perché non sapevamo che il virus stava circolando tra gli asintomatici. In più, non sapendo nulla del virus e della sua presenza, il Paziente coi sintomi non veniva isolato e se ne stava a casa, così come il Paziente asintomatico non sapeva di esserlo e continuava a fare la sua vita normale: tutto ciò ha fatto sì che il virus potesse circolare tranquillamente, e questa è la spiegazione del fatto che abbiamo poi avuto un numero di casi sproporzionato che ci ha investiti alla fine dello scorso febbraio. Insomma, se adesso siamo più edotti della situazione stiamo più attenti, perché non è più possibile che un Paziente sintomatico stia a casa e infetti molte altre persone, come non è più possibile che un asintomatico continui a lavorare senza sapere della propria condizione. In un sistema che è capace di identificare i casi asintomatici è vero che i numeri ci spaventano, però sono anche misure che ci consentono di mettere in atto le misure protettive. Nessuno si sarebbe mai sognato di dire “girate per strada con la mascherina”, se non avessimo saputo che c’erano 10.000 asintomatici al giorno. Certamente, se aumenteranno i tamponi, potremmo arrivare anche a numeri più alti.

Quindi tutte le misure che stiamo prendendo non sono basate sul fatto che i numeri dei casi gravi siano aumentati, bensì perché la malattia ha un’elevata contagiosità?
Sì, perché la mascherina non la usiamo per proteggere noi stessi, ma per poter proteggere gli altri da noi stessi. Perché la malattia è contagiosissima, qualsiasi malattia da Coronavirus è contagiosa, esattamente come il raffreddore, che è una malattia contagiosissima. In questo momento, in cui il Covid-19 sta circolando, non possiamo contare su alcuna immunità nella popolazione, perché è un virus sconosciuto al nostro sistema immunitario, dato che è nuovo; bisogna essere particolarmente attenti, perché quanto più stiamo attenti meno virus circola, e meno il virus circola meno casi ci saranno. Cosa sta succedendo adesso? Che stiamo pagando un certo lassismo che c’è stato negli scorsi mesi estivi: molti si sono illusi che il virus fosse diventato “più buono”, e questo ci ha fuorviati nella percezione della sua pericolosità. Quanto alla distribuzione dei casi rispetto al passato, ci sono regioni, come l’Emilia Romagna, che da seconda regione più colpita d’Italia adesso si trova a metà classifica, perché probabilmente lì il sistema sanitario ha lavorato più intensamente e ha saputo dare un’immagine più incisiva nel fare educazione sanitaria e civica alla popolazione. Nelle regioni in cui si pensava di essere in qualche modo immuni dall’infezione, ora c’è una situazione epidemica più gravosa.


Come si affronta oggi la malattia, con quali farmaci e con quali risultati?
Il farmaco migliore che abbiamo oggi è l’ossigeno, e quindi la corretta l’assistenza respiratoria ai Pazienti. Per il resto, abbiamo pochi farmaci, perché le evidenze di letteratura sufficienti a definirli con certezza come efficaci sono ancora modeste.  Certamente, oltre all’ossigeno, il cortisone nelle forme di malattia più avanzate ha dato prova di efficacia, mentre il Remdesivir nelle forme di media gravità ha dati favorevoli, sebbene non del tutto convincenti. Il Remdesivir è un antivirale che era stato sviluppato per Ebola e che poi è stato utilizzato nell’àmbito infezione da COVID-19. Tutte le altre terapie che utilizziamo sono in realtà ancora oggetto di valutazione in trial clinici in corso, e quindi non si può ancora esprimere in alcun modo un giudizio definitivo, né sulla loro efficacia né sulla loro inefficacia.

Ci sono evidenze scientifiche internazionali sul fatto che la Vitamina D data quotidianamente a basse dosi possa avere un ruolo protettivo soprattutto nell’evitare che la malattia manifesti la parte più critica, come la Polmonite bilaterale e la difficoltà respiratoria: qual è il suo parere?
La Vitamina D è come l’Eparina, il Tocilizumab, la Clorochina… Tutti farmaci sicuramente degni di studio, ma che tuttora non hanno un trial clinico che dia certezze. Attualmente ci sono tanti farmaci allo studio, tutti meritevoli di attenzione clinica, ma prima di poter dire “questo funziona” o “questo non funziona” dobbiamo attendere risultati scientifici certi. Non sono d’accordo sul fatto di continuare a fare una Medicina empirica e basata sulle intuizioni: quando avremo delle certezze ci baseremo sulle certezze. Io ad esempio ho un’esperienza molto approfondita sull’utilizzo dell’Eparina, ma attendo i risultati del trial clinico che coordiniamo, esattamente come gli studi sulla Vitamina D. Voglio dire che tutto ciò che è intuitivamente efficace deve passare attraverso uno studio clinico randomizzato. So che ci sono ricercatori di una Università londinese che sono partiti in questi giorni con uno studio sulla Vitamina D, ma il mio modo di interpretare la ricerca scientifica è quello di attendere risultati certi.

 

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