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Caffeina e caffè: istruzioni per l'uso

Autore: Dott. Fabio PizzaProf. Fabio CirignottaDott.ssa Rebecca Marzocchi

Secondo recenti studi l’assunzione regolare e moderata di caffè sembra si correli ad un minore tasso di mortalità per eventi cardiovascolari, attraverso un’azione antiaterosclerotica, antiossidante e antiinfiammatoria

Il caffè è una bevanda largamente diffusa in tutto il mondo. La pianta del caffè trova le sue origini nella regione etiopica di Kaffa già prima del 1000 d.C. Da qui si è diffuso in Egitto e in Arabia, per poi approdare in Europa nel XVI secolo dopo l’invasione turca in Austria. È proprio in Austria che si sono aperte le prime caffetterie ed il caffè ha iniziato la sua diffusione anche in America latina, dove il clima favorevole ne ha permesso una coltivazione ampia e generosa. Spetta però agli italiani la trasformazione da semplice infuso a bevanda a regola d’arte, tanto che l’espresso viene ormai apprezzato in tutto il mondo.

La caffeina e il suo meccanismo d’azione

La caffeina, la principale sostanza contenuta nel caffè, è presente anche in altri alimenti di comune assunzione alimentare (tè, bevande analcoliche ed energizzanti, dolci, cioccolata, ecc.) come anche in farmaci che non necessitano di prescrizione medica utilizzati, per esempio, in caso di cefalea e sintomi allergici. La caffeina assunta per via orale viene rapidamente assorbita: la concentrazione di caffeina nel sangue raggiunge il picco massimo dopo circa 30-70 minuti dall’assunzione orale di una singola dose e si dimezza in genere nel giro di 3-7 ore, ma se presa in grandi quantità permane più a lungo nell’organismo. L’azione farmacologica della caffeina “blocca” l’azione di un neurotrasmettitore (l’adenosina) che, tra le altre funzioni, ha quella di indurre al sonno. Pertanto la caffeina produce un effetto opposto, cioè risvegliante. Inoltre, i recettori dell’adenosina sono presenti sia a livello cerebrale che in altri apparati come vasi sanguigni, rene, cuore e tratto gastroenterico. E anche su tali apparati periferici la caffeina interagisce portando ad un aumento di attività del sistema nervoso simpatico e ad un incremento della pressione arteriosa. L’assunzione continuativa di caffeina determina una tolleranza, ovvero una progressiva abitudine dell’organismo che porta alla necessità di assumerne dosi crescenti per ottenere il medesimo effetto. I meccanismi di sviluppo di tale tolleranza non sono del tutto noti essendo difficile ottenere informazioni univoche dalla valutazione di soggetti che la utilizzano abitualmente.

Gli effetti sul sonno

Diversi studi hanno valutato l’impatto della caffeina sul sonno notturno, evidenziando come l’assunzione serale determini un calo del sonno dovuto ad un incremento del tempo necessario per addormentarsi, e un aumento dei risvegli notturni. Questi effetti sembrano inoltre essere determinati in maniera progressivamente crescente in funzione della dose assunta prima di coricarsi. Inoltre, visto che l’effetto farmacologico è dovuto alla quantità di caffeina presente nel sangue, se questa viene assunta immediatamente prima di coricarsi non agisce sul tempo di addormentamento in quanto servono almeno 30 minuti per il raggiungimento del picco di concentrazione, ma produce ugualmente altri effetti negativi sul sonno notturno.

Effetti durante il giorno

Gli studi sull’effetto della caffeina sulle prestazioni cognitive come memoria o ragionamento logico e sulla vigilanza diurna hanno frequentemente evidenziato un’azione positiva, maggiormente riferita all’attenzione e alle funzioni motorie che non a quelle cognitive propriamente dette. Tali studi però difficilmente aiutano a capire se la caffeina promuova di per sé vigilanza e prestazioni psicomotorie, oppure determini un ristoro rispetto al declino di tali funzioni dovuto al precedente accumularsi di ore di veglia. Inoltre questi studi devono essere guardati con estrema cautela per la presenza di limiti metodologici intrinseci come il rilievo di elevati livelli di sonnolenza nelle popolazioni studiate (spesso giovani cronicamente deprivati di sonno) o la presenza di una sonnolenza dovuta alla sospensione dell’utilizzo di caffeina per partecipare allo studio.


 

L’effetto dipendenza

L’utilizzo cronico di caffeina, grazie alla già menzionata tolleranza, può indurre una dipendenza sia comportamentale (psicologica) che fisiologica. La prima si esprime con una ricerca continuativa dell’assunzione della sostanza, mentre la seconda è caratterizzata da segni e sintomi indotti dalla sospensione improvvisa di un utilizzo cronico. Entrambi questi fenomeni vanno comunque differenziati dal cosiddetto effetto “rimbalzo”, ovvero il significativo rilievo di un sintomo come la sonnolenza, che viene inibito dalla caffeina, a distanza di qualche ora dall’assunzione anche di una singola dose, cioè all’esaurirsi del suo effetto farmacologico in parallelo alla riduzione della concentrazione nel sangue del principio attivo. I sintomi da sospensione che evidenziano una dipendenza fisiologica sono numerosi, di questi, i più comuni sono sonnolenza e cefalea che possono presentarsi anche a 12-24 ore dall’astinenza di una assunzione giornaliera di 100 mg di caffeina, contenuti ad esempio in un caffè espresso, per 3-7 giorni.

Valutare le dosi

La maggiore difficoltà nello stabilire i livelli di assunzione di caffeina nella popolazione generale è dovuta al contenuto variabile di tale sostanza nei diversi alimenti o bevande di comune utilizzo, a partire dal caffè stesso, oltre che dalle differenti quantità con cui i vari prodotti sono generalmente serviti. Ad esempio un caffè espresso ne contiene mediamente 100 mg, un caffè “americano” supera i 250 mg, un caffè solubile dai 40 ai 110 mg, e infine un decaffeinato non raggiunge i 10 mg. Inoltre gli studi che “fotografano” una situazione epidemiologica non consentono di stabilire un nesso di causalità, ma evidenziano solo delle associazioni tra i fattori che rilevano come l’uso di caffeina, la qualità del sonno notturno e la sonnolenza diurna. Diversi studi hanno comunque cercato di attuare queste stime, con risultati diversi che vanno da una assunzione media di 4 mg/Kg, ovvero 280 mg per un uomo di 70 Kg, a 190 mg al giorno. Bisogna comunque rilevare che il rapporto tra un cattivo sonno notturno e l’utilizzo diurno di caffeina può essere bidirezionale, ovvero è possibile che si dorma peggio per aver bevuto “troppo” caffè, ma è ugualmente possibile che si assuma molta caffeina per cercare di “compensare” gli effetti di un cattivo sonno. Ne risulta quindi che entrambe le ipotesi possono essere vere e determinare un circolo vizioso. Nell’ambito della Medicina del Sonno si incontra spesso il problema di un sonno notturno non ristoratore o di una franca insonnia. In questi casi il Medico propone in prima battuta l’utilizzo di norme comportamentali di buona “igiene del sonno”, tra cui evitare attività e sostanze “risveglianti”, ivi inclusa ovviamente la caffeina, dal pomeriggio in poi per ridurre i fattori che influenzano negativamente il sonno o la capacità di addormentarsi. Sebbene questi consigli siano largamente condivisi e dettati dal “buon senso” comune, alcuni studi ne hanno valutato l’efficacia evidenziando che effettivamente la sospensione dell’assunzione di caffeina determina un sostanziale miglioramento del sintomo insonnia in chi ne è affetto.

Come dosare la caffeina

L’assunzione di caffeina deve essere presa in considerazione nella valutazione di problemi del sonno notturno e di sonnolenza diurna non solo negli adulti ma anche negli adolescenti (in quanto, come abbiamo detto, diverse bevande, farmaci e alimenti ne contengono quantitativi variabili). L’utilizzo protratto di caffeina e l’incapacità di interromperne l’assunzione può riflettere una vera e propria dipendenza. In questi casi è opportuno procedere ad una riduzione progressiva dell’assunzione fino alla completa sospensione seguendo i consigli del proprio Medico di riferimento.
L’interruzione, soprattutto se improvvisa, dell’utilizzo di caffeina è una potenziale causa o fattore contributivo nel determinare sonnolenza diurna. Molti degli effetti della caffeina non sono del tutto noti anche per la difficoltà di effettuare studi “puliti” su una sostanza di larghissimo consumo. In particolare non è stato ancora definitivamente dimostrato quali aspetti delle prestazioni diurne siano influenzati in senso positivo o negativo.


Il caffè come alimento

La pianta del caffè fa parte della famiglia delle Rubiacee, la Coffea, di cui esistono due varianti: la Coffea Arabica e la Coffea Canephora, più comunemente chiamata Robusta. La prima è più delicata e qualitativamente migliore, la seconda è molto più resistente alle aggressioni ed è per questo che viene venduta ad un prezzo decisivamente inferiore. Il caffè di tipo Arabica ha un contenuto di caffeina variabile dall’1,1% all’1,7%, è dolce, lievemente acido e ricco di aroma; il tipo Robusta, invece, ha il doppio della caffeina (2-4%), ha un gusto più amaro ed è meno profumato. Spesso, in commercio, si trovano miscele dei due tipi di caffè, a diversa percentuale. Dal punto di vista nutrizionale, il caffè contiene, oltre la caffeina, l’acido clorogenico, l’acido caffeico, polifenoli, trigonellina (precursore dell’acido nicotinico), potassio, magnesio, calcio, solfato, fluoro, vitamina E, ecc. Il caffè, che fino a poco tempo fa veniva considerato dannoso a vari livelli per l’organismo, è stato recentemente rivalutato in termini positivi.

I benefici del caffè

Uno dei principali benefici del caffè è da correlare alla presenza di antiossidanti, che combattono lo stress ossidativo e i radicali liberi. Lo stress ossidativo è implicato nello sviluppo e nella patogenesi di numerose condizioni, e il caffè sembra proprio svolgere un effetto curativo e preventivo in alcune di queste, tra cui il Diabete mellito e le malattie che fanno parte della Sindrome Metabolica (Insulinoresistenza, Dislipidemie, Steatosi Epatica, Ipertensione Arteriosa), le malattie neurodegenerative (Morbo di Parkinson), le Malattie epatiche e cardiovascolari, e il Cancro (colon, fegato). Recentemente è stato dimostrato che più del 60% dell’assunzione di antiossidanti da parte degli adulti proviene proprio dal consumo di caffè, nonostante l’aumentato consumo di frutta e verdura tra la popolazione. Le sostanze antiossidanti predominanti nel caffè sono i polifenoli, ma troviamo anche l’acido caffeico, l’acido ferulico, la vitamina E, le melanoidine, i prodotti della reazione di Maillard ed i lignans (fitoestrogeni). Anche la caffeina ha proprietà antiossidanti, ma nelle concentrazioni in cui si trova nella tazzina di caffè il suo ruolo è trascurabile. L’effetto antiossidante, tra l’altro, non viene annullato dall’aggiunta di latte nel caffè, lasciando via libera a chi è abituato a bere il caffè macchiato. Caffeina, polifenoli, acido caffeico e trigonellina hanno recentemente dimostrato un effetto antibatterico, soprattutto nei confronti dei batteri intestinali e dello Streptococcus mutans, responsabile delle carie dentarie e delle parodontiti. Gli acidi clorogenico, ferulico, caffeico, appartenenti alla famiglia degli acidi fenolici, oltre ad un potente effetto antiossidante, hanno dimostrato un’attività antinfiammatoria, che si esplica anche a livello cardiovascolare. A conferma di ciò, mentre fino a poco tempo si attribuiva al caffè un aumentato rischio cardiovascolare, secondo recenti studi l’assunzione regolare e moderata di caffè sembra si correli ad un minor tasso di mortalità per eventi cardiovascolari, attraverso un'azione antiaterosclerotica, antiossidante e antiinfiammatoria.

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