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Genitori e figli, quale equilibrio?

Autore: Mignani_ Dott.ssa Manuela

Nell’attuale società il ruolo genitoriale ha assunto aspetti di eccessiva protezione che può produrre nei figli un ritardo del diventare adulti

Una definizione convenzionalmente condivisa considera l’età giovanile come una condizione transitoria che segna progressivamente l’abbandono di ruoli e caratteristiche specifiche dell’adolescenza e la contemporanea assunzione delle responsabilità del mondo adulto. Tale passaggio nelle società moderne è scandito tipicamente dal superamento di alcune tappe che sanciscono l’acquisizione della piena autonomia economica e psicologica della persona: la fine del percorso formativo, l’entrata nel mondo del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, ecc.

A quale età si diventa adulti?

Se nella gran parte dei paesi europei tali fasi vengono conseguite in una fascia di età compresa fra i 16 e i 25 anni, nella realtà italiana i valori si innalzano considerevolmente fino comprendere i 35 anni di età. L’esperienza del diventare adulti si è diluita nel tempo progressivamente: negli anni ‘80 l’età entro cui si era considerati giovani era pari a 24 anni; verso gli anni ’90 si prolunga a 29 anni, per arrivare fino ai 34 negli anni 2000 (V rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia). Attualmente, nella maggior parte dei casi, solo verso i quarant’anni ci si percepisce come adulti, responsabili di sé ed eventualmente di un altro individuo come un figlio.

Il punto fermo della famiglia

L’enorme allungamento del cammino verso l’età adulta si è realizzato gradualmente negli ultimi due decenni, sulla scorta di molteplici concause sociali ed economiche. Tuttavia, nonostante le rapide trasformazioni e i cambiamenti avvenuti a più livelli, la famiglia rimane la struttura fondamentale attraverso la quale si formano le nuove generazioni. Così, accanto a fenomeni economici e culturali, si è assistito ad una sostanziale rivisitazione dei ruoli famigliari e alla contemporanea diffusione di nuovi modelli educativi.

Lo stile protettivo

Attualmente, la maggior parte delle famiglie italiane ricorre ad uno stile iperprotettivo e permissivo, dove gli adulti si sostituiscono ai figli rendendogli la vita facile, facendo trovare loro tutto servito, proteggendoli dagli insegnanti, dal dolore e da qualsiasi “fatica”. Il fenomeno dell’assunzione ritardata del ruolo di adulto si è, in altri termini, aggravato per la crescente difficoltà che la famiglia incontra nello svolgere il suo naturale compito di formare individui adulti e autonomi, capaci di spiccare il volo dal nido famigliare. Esiste quindi una forte complementarità fra famiglie sempre più protettive e permissive, e figli sempre più insicuri che si adeguano volentieri alle comodità della famiglia di origine, incapaci di affrontare le sfide della propria vita. Si deve ricordare che nel nostro paese la maggior parte dei 35enni vive ancora all’interno della famiglia di origine. Per contro, negli altri paesi europei, in particolare di area nordica, dove l’autonomia e la partecipazione attiva alla società rappresentano valori culturali affermati, che un trentenne abiti ancora con mamma e papà è considerata un’anomalia. Nelle famiglie italiane, se un figlio venticinquenne decidesse di uscire di casa, la gran parte dei genitori si chiederebbe paradossalmente dove ha sbagliato, penserebbe di non averlo coccolato e accontentato a sufficienza. La famiglia, in altri termini, non solo non scoraggia questo tipo di atteggiamento, ma sembra quasi premiarlo. Anche quando i giovani sono economicamente autosufficienti, gli intrecci affettivi ed emotivi persistenti all’interno della relazione con i genitori li rendono in qualche maniera ancora dipendenti. Esistono quindi componenti prevalentemente culturali e psicologiche, che inibiscono la scelta di autonomia, anche quando questa risulta possibile.


 

L’eterno cucciolo

La funzione genitoriale si è così radicalmente modificata, da “normativa” ad “affettiva”: il figlio è visto come un “cucciolo” da coccolare, da non deludere mai e da soddisfare in ogni desiderio e bisogno, nella convinzione che solo con molto sostegno e tanto amore potrà esprimere al meglio se stesso. Il piccolo “messia”, spesso figlio unico, non deve più guadagnarsi la benevolenza dei genitori, ma sono i genitori stessi che devono meritare il suo affetto. A differenza delle generazioni passate, che per affermare la propria identità dovevano necessariamente ribellarsi all’autorità famigliare, ed in particolare a quella paterna, le generazioni di adolescenti e di giovani di oggi mancano delle ragioni fondanti per opporvisi.
Così, se si può ritenere che l’abitare in famiglia sia per molti ragazzi una “necessità” collegata alla incertezza e all’attuale precarietà lavorativa, si può allo stesso tempo ipotizzare che per molti, soprattutto di età più adulta, sia invece una “scelta” decisamente vantaggiosa. La famiglia rappresenta infatti un luogo accogliente e conciliante, ed i genitori moderne agenzie del benessere materiale e psicologico dei figli.
Ma, come ci ricorda Oscar Wilde: “E’ con le migliori intenzioni che il più delle volte si ottengono gli effetti peggiori”. La relazione genitoriale in cui il figlio è totalmente protetto e accudito, genera da una parte un insicuro, e dall’altra, un egoista, pretenzioso che esige che tutto il mondo ruoti intorno a lui. Nella pratica giornaliera, si osservano sempre più giovani psicologicamente fragili e insicuri, decisamente impreparati di fronte alle responsabilità della loro età.

Quali indicazioni per i genitori?

Innanzitutto la relazione fra genitori e figli dovrebbe evolversi e modificarsi in stretta connessione alle diverse fasi di crescita dei figli. Se è naturale che il genitore nelle prime fasi di vita assuma un ruolo più tutelante e protettivo assicurando una forte presenza, è altresì fondamentale che gradatamente nell’arco degli anni, faccia un passo indietro permettendo al figlio di farne due avanti. Un atteggiamento genitoriale quindi presente ma che consenta al figlio di affrontare a piccoli passi gli ostacoli e le difficoltà che la vita via via gli mette davanti, quali esperienze formative fondamentali per la costruzione della propria personalità. Ecco quindi che più che sostituirsi ai figli risolvendo direttamente i loro problemi, ciò che è utile fare è aiutarli ad inquadrare i problemi, lasciando che siano loro stessi a trovare le proprie soluzioni e a sviluppare le strategie di fronteggiamento, o coping, per gestire la realtà. I genitori dovrebbero, infatti, ricordarsi che l’unica via che conduce alla costruzione del senso di fiducia nelle proprie risorse personali e autostima, è la possibilità di sperimentarle concretamente.
Diventare adulti, inoltre, obbliga ad un cammino che comporta necessariamente l’abbandono del mondo infantile e delle sue pretese, accostando progressivamente il principio del piacere al principio del dovere e dell’impegno per la realizzazione dei propri desideri ed obiettivi. Abituare i figli a ricevere senza nessuna contropartita, senza l’adeguamento a compiti e doveri, significa ostacolarne il processo di emancipazione, mistificando allo stesso tempo la realtà e creando l’illusione egocentrica di essere quello che non sono. Al contrario, porsi nel ruolo di guida e di supporto stabile che stabilisce regole chiare ma che al contempo rimanda al figlio le sue responsabilità significa aiutarlo ad affrontare con successo la propria vita.