Dieta fallita? Tutta colpa della psiche

Autore: Dott. Matteo Pacini

 

Dipendenza e predisposizione

La ricerca sulle dipendenze, per esempio, dice la stessa cosa sulle droghe: esiste un “tipo” che è predisposto ad avere problemi con le droghe. Peccato che si tratti di un tipo molto diffuso, cioè di una delle varianti fisiologiche largamente rappresentate.
Avere un appetito vivace non è infatti un segno in generale negativo. Non certo per la sopravvivenza. In condizioni di penuria di cibo, chi si modera muore. Chi prende quel che c’è, si salva. Non deve quindi stupire che questo sistema, selezionato per sopravvivere con cibo limitato, impazzisca quando il cibo è illimitato. Una persona che mangia una torta intera perché magari per altri due giorni non troverà cibo, è la stessa persona che ne mangia una al giorno quando è disponibile.

Il ruolo della Psicoterapia

Risulta quindi importante ripensare l’approccio ai disturbi alimentari. Non si può mantenere una posizione ambigua sul fatto che il problema sta nel cervello, ma poi dare ad intendere che “controllare l’appetito è facile, basta sapere come farlo”, per ricalcare un motto abbastanza diffuso. L’autostima di chi ha problemi alimentari non dipende dal peso in sé, ma dal controllo del peso. Così come l’umore in generale.
Il ricorso alla Psicoterapia può essere utile ma bisogna evitare che sia ridotta ad una semplice ripetizione delle regole alimentari teoriche, ad un alternarsi di buoni propositi e giustificazioni, di lodi a peso calato e rimproveri a peso ripreso, e così via.
Per poter evitare tutto ciò è necessario conoscere la biologia dell’appetito, che non è né la fame, né il metabolismo, ma che coinvolge una parte del cervello pensata e predisposta per farci mangiare. A questa parte del cervello poco importa della moderazione, della prevenzione dell’Obesità e della qualità nutritiva del cibo, perché non è costruita per seguire queste regole.
In generale, per trattare qualsiasi disturbo è bene, anche se non c’è (ancora) una cura uguale per tutti e definitiva, non colpevolizzare chi lo ha, non forzare meccanismi per ottenere dei risultati che svaniscono come neve al sole, e non scambiare l’intenzione (che chiunque ha, di controllare il peso) con la capacità che alcuni non hanno o hanno perso.

Per approfondire: Matteo Pacini - Dipendenza da cibo - Caravaggio Editore


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