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Tendine di Achille, attenzione alle lesioni

Autore: Dott. Umile Giuseppe LongoProf. Enzo Denaro

Lesione e rottura del Tendine di Achille sono situazioni in aumento, in relazione al numero sempre maggiore di persone che svolgono attività sportiva

La situazione di lesione o disfunzione di un tendine, in termine tecnico Tendinopatia, è la più comune tra le condizioni patologiche del cosìddetto Tendine di Achille. Il disturbo può coinvolgere sia la porzione di tendine che si inserisce sul calcagno nel 20-25% dei casi, sia il corpo del tendine nel 60-65% dei casi. Può inoltre essere isolata oppure associata all’affezione della guaina che riveste il tendine, in questo caso di tratta di Peritendinopatia. La Tendinopatia, che è un “fallimento” dei meccanismi di guarigione che si attivano in risposta ad un danno del tendine, si caratterizza per le modificazioni strutturali che determinano un’insufficienza nel tendine, che non è più in grado di sostenere movimenti che richiedano il suo ciclico allungamento.

Numero di casi in aumento

Nei paesi sviluppati, l’incidenza della Tendinopatia e della rottura del Tendine di Achille è in aumento, soprattutto in relazione al numero sempre maggiore di persone che svolgono attività sportiva a livello sia amatoriale che agonistico. La Tendinopatia non inserzionale, ossia quella che colpisce il corpo del tendine, ha una incidenza doppia rispetto alla Tendinopatia inserzionale, quella che colpisce solo la porzione di tendine che si inserisce nel calcagno.

Categorie a rischio

Gli atleti, sia amatoriali che professionisti, rappresentano la popolazione più a rischio di sviluppare una Tendinopatia non inserzionale del Tendine di Achille, soprattutto i corridori di distanze medio-lunghe. In questa popolazione l’incidenza annua è pari a circa il 10%. Inoltre, la rottura del Tendine di Achille rappresenta il 20% di tutti gli infortuni in questi atleti.
Tuttavia il 30% dei casi di Tendinopatia del Tendine di Achille non è associato ad attività sportiva.
L’invecchiamento può determinare modificazioni degenerative del tendine che predispongono allo sviluppo di lesioni tendinee parziali. Inoltre, è stata dimostrata una correlazione tra la Tendinopatia e patologie quali Diabete mellito, Obesità, Dislipidemie ed Ipertensione. L’assunzione di antibiotici fluorochinolonici è anch’esso un fattore di rischio per lo sviluppo di Tendinopatia e di rottura del Tendine di Achille. Infine, si deve ricordare che il 2% delle lesioni di Achille sono associate ad Artrite Reumatoide oppure ad altre Artropatie Infiammatorie.
Sebbene l’incidenza nelle donne sia in aumento, ad oggi la di rottura del Tendine di Achille è significativamente più frequente nel genere maschile. In termini di età di insorgenza si possono distinguere due picchi di incidenza. Un primo picco in soggetti di età compresa tra i 30 ed i 50 anni, in cui la rottura del tendine è principalmente correlata ad attività sportiva, ed un secondo picco in soggetti sopra i 50 anni, principalmente donne non sportive.

Sintomi e diagnosi

La diagnosi di Tendinopatia del Tendine di Achille è principalmente clinica, formulata in base all’anamnesi e all’esame obiettivo. Gli elementi caratterizzanti sono dolore, gonfiore (localizzato o diffuso) ed impotenza funzionale del tendine.
Solitamente il Paziente riferisce una insorgenza graduale del dolore. Tuttavia, in alcuni casi i sintomi possono essere riferiti ad un trauma specifico. La maggioranza dei Pazienti però accusa dolore per molti mesi con andamento intermittente. Nelle fasi iniziali il dolore è associato soprattutto ad importanti sollecitazioni del tendine, come avviene nell’attività sportiva. Successivamente, la sintomatologia insorge anche durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane, come il camminare. Di contro, nei casi di rottura tendinea, il Paziente riferisce l’insorgenza improvvisa del dolore nella porzione distale del tendine (nella zona del calcagno).
Il tendine affetto da Tendinopatia si presenta ispessito. Tale ispessimento è segno di una degenerazione cronica. In caso di Tendinopatia inserzionale, è presente gonfiore in corrispondenza dell’inserzione del tendine, eventualmente associato ad arrossamento della cute, segno di infiammazione della borsa compresa tra il tendine e il calcagno. Tramite la palpazione è possibile identificare l’area dolente, distinguendo così tra Tendinopatia inserzionale e non inserzionale (distante 2-6 cm dall’inserzione del tendine sul calcagno). L’esame obiettivo permette inoltre di identificare una Tendinopatia isolata dai casi in cui sia coinvolto anche il peritenonio. La valutazione clinica deve comprendere anche uno studio della morfologia del piede e dell’articolarità della caviglia.
Come per la Tendinopatia, anche la rottura del tendine può essere diagnosticata clinicamente. La palpazione del tendine permette di identificare una soluzione di continuità nel tendine stesso, solitamente localizzata a circa 3-6 cm dall’inserzione tendinea.


 

Gli esami da fare

Gli esami strumentali sono solitamente impiegati per una conferma diagnostica ed includono principalmente l’Ecografia e la Risonanza Magnetica per lo studio del tendine. Le radiografie tradizionali permettono invece di valutare alterazioni nel profilo posteriore del calcagno che  si possono associare a Tendinopatia inserzionale. L’Ecografia rappresenta sicuramente l’indagine meno costosa e più accessibile.
La Risonanza Magnetica invece sembra essere più efficace dell’Ecografia per quanto riguarda la diagnosi di lesioni parziali del tendine. La differenza principale tra le due metodiche consiste nel fatto che l’Ecografia permette di eseguire un esame dinamico in flessione ed estensione.

Le terapie

L’approccio terapeutico di scelta nel Paziente con Tendinopatia non inserzionale è il trattamento conservativo.
Al contrario, la Chirurgia deve essere indicata in caso di suo fallimento. Il trattamento conservativo include diversi approcci, ciascuno dei quali con differenti evidenze di efficacia.
Gli Esercizi eccentrici sono il trattamento di scelta, in quanto hanno dimostrato di avere la maggiore efficacia, con ritorno del Paziente alle normali attività dopo 3 mesi in circa il 70% dei casi. Sebbene le basi biologiche di questi risultati non siano ancora note, tali esercizi permettono di ridurre lo spessore e ripristinare la normale architettura del tendine, oltre a ridurre notevolmente la neovascolarizzazione. È importante evidenziare che tale Fisioterapia richiede, per il suo successo, un Paziente motivato, in quanto gli esercizi devono essere eseguiti 7 giorni a settimana per 3 mesi. Inoltre il successo è correlato ad una stretta aderenza al protocollo fisioterapico.
Trattamenti conservativi di seconda linea possono variare secondo le risorse disponibili. La Terapia con onde d’urto ad esempio ha dimostrato di avere risultati similari a quelli ottenuti con gli Esercizi eccentrici, con recupero completo o marcato miglioramento in circa il 60% dei casi. Le onde d’urto sono onde di tipo meccanico che producono effetti sia sui recettori del dolore sia sul processo di guarigione dei tessuti molli. Sebbene rappresentino una terapia efficace, le onde d’urto sono solitamente utilizzate come seconda linea, in considerazione dell’efficacia e dei bassi costi degli esercizi eccentrici. Esse devono essere considerate come terapia addizionale nei casi di Tendinopatia cronica, prima di considerare un trattamento chirurgico. Studi hanno dimostrato infatti che l’associazione di Esercizi eccentrici ed onde d’urto ha una maggiore efficacia rispetto ai singoli trattamenti.
Diverse Terapie infiltrative sono state invece proposte per il trattamento conservativo della Tendinopatia non inserzionale. Tra queste, risultati incoraggianti sono stati ottenuti con iniezione di sostanze sclerosanti e di enzimi proteolitici. Al contrario, non sono disponibili evidenze scientifiche in favore delle iniezioni di corticosteroidi, associate inoltre ad un rischio aumentato di rottura del tendine.


 

Nuovi approcci

Recentemente è stata indagata anche la fattibilità e l’efficacia di applicazione di sangue intero o di derivati del sangue quali il “Platelet-Rich Plasma” (PRP) nel sito di degenerazione. Tale metodica consiste nell’applicare un’elevata concentrazione di fattori di crescita che dovrebbero reclutare cellule nel sito di lesione del tendine, stimolando la loro differenziazione in tenociti e la loro proliferazione. Ciò dovrebbe portare ad un incremento di produzione delle fibre di collagene e favorire la rigenerazione del tendine. Il vantaggio teorico del PRP rispetto al sangue intero è che il primo rappresenta un prodotto con concentrazioni molto più elevate di piastrine, i cui granuli sono ricchi di fattori di crescita, citochine ed altre molecole in grado di iniziare e supportare il processo di guarigione. Tuttavia, ad oggi, non esistono studi clinici di elevata qualità scientifica che confermino la reale efficacia di queste metodiche nel processo di guarigione e rigenerazione del tendine.
Infine, va ricordata la Terapia cellulare, che rappresenta sicuramente un’attrattiva per il futuro.
Studi su animali hanno dimostrato che l’applicazione di cellule staminali mesenchimali derivate dal midollo osseo direttamente nel sito di danno si associa alla produzione di matrice extracellulare simile a quella del tendine nativo, suggerendo la differenziazione di tali cellule in elementi cellulari simili ai tenociti. Nonostante queste evidenze sperimentali, prove scientifiche di efficacia e sicurezza dell’uso di cellule staminali nell’uomo devono essere fornite prima che le terapie cellulari possano essere applicate nella pratica clinica quotidiana.

Quando serve il bisturi

In caso di mancata risposta ai trattamenti conservativi, con sintomatologia presente da più di 6 mesi, è indicato il trattamento chirurgico. La percentuale di Pazienti con Tendinopatia che richiedono un approccio chirurgico è intorno al 25%. I possibili approcci terapeutici comprendono: Chirurgia aperta, percutanea oppure artroscopica. Sebbene la Chirurgia aperta sia ancora l’approccio più comune, le procedure chirurgiche mini-invasive sono eseguite sempre più di frequente.
Le percentuali di successo in Pazienti con Tendinopatia non inserzionale sono intorno al 75-80%. Sebbene la Chirurgia aperta permetta una buona visualizzazione del campo operatorio, si associa a complicanze per la ferita chirurgica ed infezioni.
Le tecniche mini-invasive per il trattamento della Tendinopatia non inserzionale hanno invece il vantaggio di ridurre i tempi di ospedalizzazione, produrre un recupero più rapido e minori rischi di complicanze per la ferita chirurgica ed infezioni.
Il trattamento di scelta, chirurgico o conservativo, in caso di rottura del tendine di Achille è ancora oggi dibattuto. Sebbene il trattamento conservativo possa essere efficace in Pazienti di tutte le età, sia sportivi che sedentari, il tasso di ri-rottura del tendine operato è di circa il 13%, rispetto ad un tasso del 4% ottenuto con il trattamento chirurgico.
Tra gli approcci chirurgici, la Chirurgia aperta è considerata lo standard. Tuttavia, essa si associa a complicanze della ferita chirurgica, infezioni, Tromboembolismo e rigidità. Le tecniche di Chirurgia mini-invasiva e percutanea sono state sviluppate proprio per ridurre l’incidenza di tali complicanze e migliorare i risultati funzionali e vengono sempre più utilizzate poiché hanno dimostrato una efficacia uguale o superiore alla Chirurgia aperta con inferiore incidenza di complicanze.
Nei casi di rottura cronica, definiti come lesione presente da più di 4 settimane, il trattamento conservativo non è indicato. Il tendine deve essere ricostruito chirurgicamente al fine di ripristinare la sua lunghezza e funzione. In questi casi la ricostruzione può richiedere l’impiego di trapianto autologo per rendere più solida la struttura.

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