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Sindrome di Menière, dalle cause alla cura

Autore: Dott. Massimo Balbi

L’analisi accurata dei sintomi, opportuni test diagnostici e l’esclusione dei disturbi che presentano sintomi analoghi, sono utili per definire la terapia vincente 

La Sindrome di Menière è una malattia, che colpisce l’apparato uditivo e quello vestibolare (il sistema sensoriale che contribuisce a definire il nostro senso di equilibrio e di orientamento nello spazio per coordinare il movimento), caratterizzata dalla comparsa di attacchi vertiginosi ricorrenti (che possono durare da alcuni minuti a diverse ore), acufeni (fischi o ronzii percepiti dal Paziente non riconducibili alla presenza reale di una fonte sonora esterna), perdita dell’udito e/o ovattamento auricolare. Tuttavia, solo nel 40% dei casi, la malattia esordisce con la compresenza di tutti e tre i sintomi. Il ritardo temporale tra calo uditivo e vertigine, infatti, può raggiungere i cinque anni nel 20% dei Pazienti mentre le crisi tendono a ridursi nel tempo: il 20 % dei soggetti che non ha crisi da un anno probabilmente nell’anno successivo sarà asintomatico.

Lo sviluppo della malattia

Questa patologia particolarmente invalidante colpisce soprattutto le donne, con un esordio che si registra generalmente in età adulta e un picco di incidenza tra i 40 e i 60 anni. In Italia si registra un’incidenza di 8 casi su 100mila abitanti e una prevalenza di circa lo 0,4% della popolazione. Se inizialmente i sintomi sono per lo più monolaterali, la probabilità che il disturbo evolva nella forma bilaterale cresce (fino al 35% e al 47% dei casi rispettivamente a dieci e a vent’anni dall’insorgenza della malattia) con l’aumentare dell’età e della durata della malattia stessa. La storia naturale del disturbo si suddivide poi in tre fasi: la prima (iniziale) con episodi sfumati e poco caratteristici; la seconda (florida), caratterizzata da acufeni e/o ovattamento, calo uditivo fluttuante, vertigine e disequilibrio; infine la terza (stabilizzata) con acufeni e/o ovattamento, calo uditivo stabile e disequilibrio.
La malattia può evolvere successivamente verso la remissione della sintomatologia oppure svilupparsi ulteriormente con una possibile forma bilaterale o, ancora, manifestarsi con improvvise cadute non associate a vertigine né a perdita di coscienza.

Due possibili forme

A partire dal 2015 sono stati introdotti nuovi criteri diagnostici per la Malattia di Menière che, in particolare, includono due differenti categorie: quella definitiva e quella probabile. La forma definita si caratterizza per:

  • due o più episodi vertiginosi con durata da 20 minuti fino a 12 ore;
  • calo uditivo certificato con esame dell’udito che identifichi l’orecchio affetto dal disturbo in almeno un’occasione prima, durante o dopo uno degli episodi vertiginosi;
  • presenza di sintomi uditivi (soglia dell’udito, acufeni o ovattamento) fluttuanti nell’orecchio colpito nel corso del tempo;
  • esclusione di qualsiasi altra diagnosi vestibolare.

Nella forma probabile manca il secondo punto, ossia una documentazione certa di un calo uditivo.

All’origine della Sindrome

Ad oggi, la vera causa della Sindrome di Menière resta poco chiara, tuttavia, in genere può essere correlata ad una possibile predisposizione genetica oppure insorgere successivamente ad eventi scatenanti come traumi cranici, patologie dell’orecchio medio, alterazioni ioniche, Infezioni virali, Malattie autoimmuni o dei vasi sanguigni. Il meccanismo con cui si origina si caratterizza per un “idrope endolinfatico”, ossia un aumento nell’orecchio interno della concentrazione di endolinfa (liquido presente nelle membrane che danno struttura agli organi dell’orecchio interno e che ci permettono di sentire e regolare il senso dell’equilibrio) e per un’intossicazione da potassio delle cellule ciliate (cellule sensoriali contenute nell’orecchio interno, responsabili dell’invio del segnale acustico) e di quelle vestibolari. All’aumento di concentrazione e, quindi, di pressione, del liquido endolinfatico (all’interno del labirinto membranoso), corrisponde una riduzione di quello perilinfatico (all’esterno del labirinto) con conseguente rilascio a livello molecolare di vasopressina a causa dello stress indotto. Mentre in un orecchio sano l’espressione dei recettori per la vasopressina può subire un’inibizione per prevenire l’idrope, in un orecchio “fragile” possono essere sovra-espressi con conseguente idrope.
Tra le ipotesi emergenti di questi ultimi anni, ricordiamo anche un alterato drenaggio dovuto ad una occlusione “otoconiale” (gli otoliti sono minuscoli cristalli di calcio contenuti nell’endolinfa) dei dotti di collegamento col sacco endolinfatico (prolungamento intracranico del labirinto membranoso) oltre all’ipotesi vascolare, ovvero una stasi venosa a carico delle vene dell’orecchio interno che determina l’infiammazione delle pareti venose, quindi, l’idrope.


Come diagnosticarla

Una corretta diagnosi si ottiene attraverso un percorso che non può prescindere da un’accurata analisi dei sintomi descritti dal Paziente a cui seguirà un opportuno esame audiometrico. Inoltre, risulta indispensabile un esame dell’apparato vestibolare condotto da uno Specialista Otorinolaringoiatra, dapprima in maniera tradizionale, utilizzando il classico lettino e osservando il movimento degli occhi alla ricerca del nistagmo (movimento coniugato involontario dei globi oculari caratterizzato dall’alternarsi di una fase lenta e di una rapida), poi facendo ricorso a test più specifici. Tra questi vi è il test calorico (irrigazione delle orecchie con acqua a diversa temperatura con valutazione del nistagmo conseguente), l’osservazione del nistagmo indotto da una vibrazione, la registrazione del nistagmo evocato dalla rotazione passiva del capo a destra e sinistra per 20 secondi ed il “video head impulse test” (utilizzando degli occhiali dotati di telecamera il Paziente fissa un punto sul muro a circa un metro di distanza mentre l’esaminatore imprime impulsi alla testa a direzione laterale con un’ampiezza tra 10°e 20° e ad intervalli di tempo non prevedibili, analizzando il rapporto tra la velocità del movimento dei globi oculari e quello del capo). Rivolgersi ad uno Specialista è fondamentale anche per escludere altri disturbi che possono presentare sintomi analoghi alla Sindrome di Menière ma avere origine completamente diversa: tra questi, ad esempio, eventuali attacchi ischemici transitori, Emicrania vestibolare (vertigine episodica associata a cefalea emicranica) e conflitto neurovascolare (anomalo contatto tra un vaso e un nervo). Una Risonanza Magnetica, infine, può essere richiesta per escludere un Tumore.

La scelta del trattamento

Per quanto riguarda il trattamento della Sindrome di Menierè, innanzitutto occorre precisare che non esiste una completa condivisione di pareri tra gli esperti. Tuttavia il Paziente deve conoscere gli aspetti fondamentali della malattia e le varie possibilità di approccio, nonché i loro obiettivi che, naturalmente, cambieranno a seconda della fase della malattia in cui egli si trova, dovendo passare dal prevenire l’idrope e trattare la crisi nella fase florida, piuttosto che controllare il disequilibrio nella fase stabilizzata. In particolare, esistono tre possibili ambiti terapeutici, di natura conservativa, pseudo-chirurgica e/o chirurgica.

Se la Terapia conservativa...

In caso di approccio conservativo, nella fase florida della malattia si dovrà intervenire in questo modo:

  • prevenire l’idrope: a questo scopo di consiglia l’utilizzo di betaistina (molecola che migliora il flusso sanguigno del microcircolo dell’orecchio interno oltre a ridurre la produzione e l’aumentato riassorbimento di endolinfa), glicerolo (diuretico da infondere a goccia lenta con progressiva riduzione delle somministrazioni), calcio-antagonisti (in caso di Paziente affetto da Emicrania) o cortisonici (la cui attività antinfiammatoria ed immunosoppressiva favorisce la circolazione sanguigna interna all’orecchio e migliora il trasporto di acqua e ioni);
  • trattare la crisi: generalmente si utilizzano betaistina, farmaci “tranquillanti” (benzodiazepine) e farmaci utili a contrastare nausea e vomito.

Nella fase stabilizzata invece, tale approccio conservativo punta a trattare il disequilibrio con cicli di betaistina, farmaci contenenti scutellaria, maltodestrine, resveratrolo, zenzero e, infine, con una rieducazione vestibolare (sempre a cicli).

... non funziona

Nell’eventualità in cui i trattamenti farmacologici non riescano a tenere sotto controllo i sintomi della malattia, si attiva una procedura preventiva di seconda linea, ossia la cosiddetta Terapia trans-timpanica che consiste nel porre il farmaco a contatto con la finestra rotonda, struttura dell’orecchio medio che si trova oltre la membrana timpanica dalla quale, poi, passa in tutto l’orecchio interno. I farmaci utilizzati sono generalmente cortisonici e gentamicina.

L’intervento chirurgico

In questo caso è possibile procedere con:

  • Chirurgia del sacco endolinfatico: tuttavia i riscontri a supporto della reale efficacia di questo intervento sono pochi;
  • Neurectomia vestibolare e Labirintectomia; si tratta di interventi che, al contrario, hanno riscontri elevati e una buona efficacia; nel primo caso si punta ad intervenire sulla sezione del nervo vestibolare deputato all’equilibrio, mentre nel secondo si va a distruggere il labirinto, ossia il blocco osseo che contiene il sistema vestibolare e le cellule uditive; mentre la Neurectomia viene considerata la tecnica più efficace per le forme più invalidanti della malattia, la Labirintectomia è il metodo chirurgico più antico per il trattamento della Sindrome di Menière e oggi è limitato ai Pazienti più anziani; quest’ultima, in caso di sordità bilaterale profonda, può essere associata, nella stessa seduta operatoria, ad impianto cocleare;
  • trattamento endovascolare di Angioplastica per la cura dell’Insufficienza venosa cronica cerebrospinale; tale condizione, infatti, può rappresentare un fattore predisponente per sviluppare disturbi dell’orecchio interno come la Malattia di Menière; a tal proposito, un recente studio scientifico ha evidenziato come nell’80% dei Pazienti siano presenti i criteri diagnostici dell’Insufficienza venosa cronica cerebrospinale, con risposte significative dopo il trattamento per il controllo delle crisi vertiginose acute e l’ovattamento auricolare rispetto ai Pazienti trattati solo farmacologicamente.